Nel caso esaminato dalla Corte, un soggetto era stato multato per aver circolato sotto l’effetto di sostanze stupefacenti “del tipo cannabinoidi” (il cosiddetto "cannello" o "canna" in gergo volgare).
La multa veniva impugnata dal soggetto in questione, il quale rilevava come “la presenza del principio attivo stupefacente persiste per un certo arco temporale, della durata anche di diversi giorni, dopo l’assunzione della sostanza. Cosicché, secondo l’assunto difensivo, tale riscontro non può costituire prova certa, al di là di ogni ragionevole dubbio, di uno stato di alterazione da stupefacenti (che rappresenta il proprium del reato in contestazione) al momento della guida”.
Inoltre, il ricorrente osserva come “un simile stato di alterazione deve risultare da un esame tecnico su campioni di liquidi biologici e non da elementi esterni”.
Come secondo motivo di ricorso, poi, il ricorrente rileva come l’art. 187 del Codice della Strada indichi espressamente “le modalità attraverso le quali deve accertarsi l’alterazione psico-fisica da assunzione di sostanze stupefacenti, vale a dire il prelievo di campioni liquidi biologici e la visita medica, il primo finalizzato alla verifica dell’assunzione delle sostanze stupefacenti”, verifica che sarebbe mancata nel caso di specie.
Ebbene, la Corte di Cassazione conferma che “ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’articolo 187 del codice della strada, è necessario che lo stato di alterazione del conducente dell’auto venga accertato attraverso un esame tecnico su campioni di liquidi biologici, trattandosi di un accertamento che richiede conoscenze tecniche specialistiche in relazione alla individuazione ed alla quantificazione delle sostanze; con la conseguenza che non costituirebbe prova sufficiente dello stato di alterazione la descrizione del comportamento dell’imputato da parte dell’agente di polizia intervenuto e l’accertamento sintomatico eseguito dal sanitario del pronto soccorso”.
Tuttavia, la Corte osserva anche come, nel caso di specie, il soggetto fosse stato condotto all’ospedale, dove era stato “sottoposto, previo suo consenso, ad accertamenti di laboratorio specifici; che erano stati effettuati esami ematici e delle urine; che, infine, l’esito degli stessi aveva consentito di accertare la presenza di sostanze stupefacenti”, con la conseguenza che deve ritenersi corretta la conclusione cui era giunto il giudice del secondo grado di giudizio, il quale aveva ritenuto infondate le eccezioni sollevate dall’indagato.
Infatti, l’affermazione del soggetto in questione “secondo cui la dimostrata assunzione di sostanze stupefacenti sarebbe risalita a qualche giorno prima della condotta di guida contestata” risultava palesemente infondata “alla luce di due differenti circostanze di fatto, entrambe dimostrative di uno stato attuale di alterazione: da un lato, l’esame di laboratorio di tipo ematico aveva dimostrato che la presenza della sostanza stupefacente nel sangue era pari ad un livello di 17 ng/ml di D-9-THC, di molto superiore alla soglia di rilevabilità e tale da rivelare un’assunzione recente di droga; dall’altro, gli operanti avevano riferito di sintomi tipici (occhi rossi, pupille dilatate e tremore delle mani) e di tracce olfattive all’interno dell’abitacolo del veicolo utilizzato dall’indagato, elementi rivelatori dell’utilizzo di sostanza del tipo hashish o marijuana”.
Dunque, secondo la Corte, nel caso esaminato “lo stato di alterazione non è stato dedotto da elementi esterni, in violazione del disposto di cui all’art. 187 C.d.S., essendo stata espletata apposita indagine tecnica di laboratorio. L’utilizzo degli elementi esterni (accertamenti effettuati dalla P.G.) è servito solo a corroborare l’assunto probatorio (stato di attuale alterazione) deducibile direttamente dagli accertamenti condotti”.
Alla luce di tali considerazioni, dunque, la Corte di Cassazione non ritiene di dover accogliere le argomentazioni svolte dal ricorrente, confermando la sentenza di condanna, ex art. 187 Codice della Strada, formulata dalla Corte d’Appello.