La vicenda di cui si è occupata la Suprema Corte, vedeva come protagonista la dipendente di un istituto di credito che, mentre si trovava a svolgere il temporaneo e nuovo ruolo di referente di un’agenzia, aveva posto in essere delle interrogazioni non autorizzate da ragioni di servizio su alcuni conti correnti. In seguito, però, ad un controllo sugli strumenti di lavoro, il datore veniva a conoscenza dell’accaduto e provvedeva al licenziamento per giusta causa della dipendente.
In seguito all’accaduto, la donna impugnava il proprio licenziamento, risultando, però, soccombente in entrambi i gradi del giudizio di merito. La Corte d’Appello, in particolare, accertava che, sulla base delle prove prodotte in giudizio, il datore di lavoro aveva adempiuto correttamente al duplice obbligo informativo impostogli dal comma 3 dell’art. 4 dello st. lav., in tema di modalità d’uso degli strumenti informatici, a protezione dei dati personali dei clienti, e di esecuzione dei controlli sui dipendenti incaricati del loro trattamento. Secondo la stessa Corte territoriale, inoltre, data l’importanza assunta dal divieto di eseguire interrogazioni sui conti correnti in assenza di ragioni di servizio, volto a prevenire sia lesioni della riservatezza e sicurezza della clientela, sia il rischio di azioni risarcitorie per l'ipotesi di condotte lesive di tali beni, il comportamento della ricorrente aveva sicuramente giustificato il suo licenziamento.
Di fronte a tali pronunce, la lavoratrice proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza d’appello, eccependo, innanzitutto, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 del c.c., dell’art. 2103, comma 3, c.c. e dell’art. 112 del c.p.c. Secondo la ricorrente, infatti, i giudici di secondo grado avevano considerato legittimo il suo licenziamento senza, però, prendere in considerazione il fatto che essa, al momento dei fatti, stesse svolgendo un nuovo incarico per il quale non era stata adeguatamente formata.
Parimenti, si lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 dello st. lav., in quanto, ad avviso della donna, la Corte d’Appello aveva errato nel giudicare adeguata l’informativa fornitale e prodotta in giudizio dal suo datore di lavoro, poiché essa, oltre ad essere stata emessa prima dell’entrata in vigore della nuova formulazione dell’art. 4 dello st. lav. ad opera del d.lgs. n. 151/2015, riguardava esclusivamente le modalità di effettuazione dei controlli sui lavoratori, e non anche di quelli sull’uso degli strumenti di lavoro.
La Suprema Corte, tuttavia, non ha aderito alle tesi sostenute dalla ricorrente, rigettando integralmente il ricorso.
In relazione, in primo luogo, all’asserita mancata considerazione, da parte dei giudici di merito, della novità dell’incarico affidato alla ricorrente, nonché dell’assenza di una sua formazione professionale ad hoc, gli Ermellini hanno ritenuto che tali osservazioni difettassero di riferibilità rispetto alla decisione impugnata. I giudici di legittimità hanno, infatti, evidenziato come la Corte d’Appello avesse accertato il corretto adempimento, da parte della banca, degli obblighi informativi imposti dall’art. 4 dello st. lav., il quale impone al datore di lavoro di fornire al lavoratore informazioni idonee in materia di controlli sull’attività lavorativa, nel rispetto di quanto disposto dal Codice della Privacy.
Dalle prove prodotte in giudizio era, difatti, emerso con chiarezza che l’istituto di credito aveva informato tutti i suoi lavoratori, indipendentemente dalla loro qualifica, attività o funzione, sia che essa fosse stabile o temporanea, e ciò in ragione, soprattutto, dello stretto legame esistente tra attività bancaria e tutela della riservatezza della clientela.
Per questo motivo, quindi, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, né la novità del suo incarico né la mancanza di una sua specifica formazione, potevano aver interferito con la conoscenza delle informazioni relative alle modalità di controllo della banca sull’attività dei propri dipendenti.
Quanto, poi, all’asserita inadeguatezza delle informazioni fornite alla lavoratrice, la Suprema Corte ha evidenziato come, in realtà, il comma 3 dell’art. 4 dello st. lav. si limiti a prevedere l’utilizzabilità delle informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 per ogni fine connesso al rapporto lavorativo. L’unica condizione posta dal legislatore, consiste nel fatto che debba essere fornita un’adeguata informazione in ordine alle modalità d’uso degli strumenti e di esecuzione dei controlli, non prevedendo alcuna distinzione tra informative precedenti e successive all’entrata in vigore del d.lgs. n. 151/2015. In ragione di ciò, dunque, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, risulta essere totalmente ininfluente il tempo in cui un’informativa sia stata realizzata, poiché ad essa é richiesto esclusivamente di rispondere al requisito dell’adeguatezza.