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Lavoratori, ecco perché non devi dare mai le dimissioni volontarie, ci guadagna solo il datore di lavoro: tutti i motivi

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Lavoratori, ecco perché non devi dare mai le dimissioni volontarie, ci guadagna solo il datore di lavoro: tutti i motivi
Scopri il motivo per cui un datore di lavoro preferisce chiedere le dimissioni al dipendente piuttosto che procedere con il licenziamento
In molti casi, quando un datore di lavoro e un dipendente decidono di terminare un rapporto di lavoro, le posizioni tra le due parti non sono mai completamente in linea.
Se, da un lato, il lavoratore spera di essere licenziato per accedere alla disoccupazione, dall’altro il datore di lavoro preferisce che il dipendente dia le dimissioni.
Perché? La risposta si trova in un aspetto economico che riguarda l’onere del licenziamento e che può spingere l'azienda a favorire la via delle dimissioni volontarie.
Il vantaggio per il lavoratore di essere licenziato
Quando un dipendente viene licenziato, ha diritto a ricevere la Naspi, ovvero l’indennità di disoccupazione. Si tratta di un aiuto economico importante, soprattutto se il lavoratore non ha trovato un’altra occupazione al momento della cessazione del contratto. Invece, se è il lavoratore stesso a dare le dimissioni, perde questo diritto, visto che la Naspi è prevista solo per chi perde il lavoro involontariamente.
Il motivo per cui il datore di lavoro preferisce le dimissioni
Il datore di lavoro, invece, ha tutto l’interesse a far sì che il dipendente si dimetta, e non a licenziarlo. Questo accade perché, quando un lavoratore viene licenziato, l'azienda è tenuta a pagare un contributo chiamato "ticket licenziamento". Si tratta di un onere economico che grava esclusivamente sul datore di lavoro e che varia in base agli anni di servizio del dipendente.
Cos’è il "ticket licenziamento" e come funziona
Il ticket licenziamento è una somma che il datore di lavoro deve versare all'INPS quando termina un contratto di lavoro che dà diritto alla Naspi. Ancora non abbiamo aggiornamenti in merito da parte dell’INPS, quindi prendiamo come riferimento gli importi del 2024, ancora in vigore: questo importo è di 635,67 euro per ogni anno di servizio del dipendente.
Tuttavia, se la durata del contratto è pari o superiore a 3 anni, il massimo che il datore di lavoro dovrà pagare sarà 1.916,01 euro. In pratica, l’importo si calcola moltiplicando 52,97 euro per ogni mese di anzianità del lavoratore.
Tale somma è dovuta in tutti i casi in cui il lavoratore abbia diritto alla Naspi, fatta eccezione per i contratti a tempo determinato. Per questi ultimi, infatti, non è previsto il pagamento del ticket, anche se il dipendente ha comunque diritto alla disoccupazione.
Perché il licenziamento costa al datore di lavoro
Un licenziamento - soprattutto se riguarda un lavoratore con una lunga anzianità - può essere un onere significativo per l'azienda. Il calcolo del ticket licenziamento, infatti, si basa sulla retribuzione del lavoratore e può arrivare a cifre elevate. Non sorprende quindi che, per evitare questo costo aggiuntivo, molte aziende cerchino di far sì che il dipendente decida di dimettersi autonomamente, sebbene il licenziamento resti comunque una possibilità, soprattutto nei casi in cui l’azienda debba interrompere il rapporto di lavoro.


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