Le più classiche pratiche di investigazione privata consistono nel pedinamento e nell’intercettazione telefonica. Entrambe queste attività, però, se compiute da privati, incontrano particolari limiti, superati i quali i soggetti che le pongono in essere rischiano di essere incriminati e di non poter poi utilizzare in giudizio le prove raccolte a proprio favore.
Per quanto riguarda il pedinamento, nel nostro ordinamento questo non è vietato dalla legge, a condizione che non si crei nella persona pedinata una condizione di turbamento e timore per la propria sicurezza. In questo caso, il pedinamento può sfociare in molestia e, in quanto tale, risulta punibile ai sensi dell’art. 660 c.p.
La giurisprudenza ha assimilato al pedinamento anche la pratica di seguire gli spostamenti di una persona tramite GPS. Secondo la Cassazione, infatti, l’utilizzo del GPS non è equiparabile all’intercettazione, che è considerata un‘attività investigativa tipica (infatti disciplinata dagli artt. 266 ss. c.p.p.), ma consiste piuttosto in un’attività atipica, come nel caso del pedinamento.
Le agenzie di investigazione, invece, sono state espressamente autorizzate dal D.M. 01.12.2010 n. 269 ad effettuare attività di osservazione statica (pedinamento) e di controllo dinamico, anche a mezzo di strumenti elettronici quali i localizzatori satellitari GPS.
L’uso di questi sistemi è quindi legittimo, a condizione che il loro scopo sia quello di tutela e difesa di diritti individuali fondamentali e che risultino indispensabili per lo svolgimento dell’attività investigativa.
Per quanto riguarda le intercettazioni telefoniche, queste sono consentite dalla legge solo se chi intercetta è parte attiva nel dialogo intercettato; perciò è considerato illecito intercettare dialoghi di terzi, in quanto costituisce violazione della privacy altrui.