La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17905 del 10 aprile 2017, si è occupata proprio di questa questione, ha confermato che questo tipo di condotta è penalmente rilevante e può integrare il reato di “tentata frode in commercio”, di cui all’art. 515 cod. pen.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Salerno aveva confermato la condanna di un imputato per tale reato, che era stato commesso, appunto, cancellando la data di scadenza da alcuni barattoli che contenevano prodotti ortofrutticoli destinati alla vendita e che erano presenti nei locali dell’azienda dell’imputato stesso.
L’imputato, ritenendo la condanna ingiusta, decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il ricorrente, infatti, non vi era stata alcuna alterazione dei prodotti, dal momento che non era stata sostituita una diversa data di scadenza rispetto a quella originaria, ma era stata semplicemente cancellata quest’ultima.
Evidenziava il ricorrente, inoltre, come i prodotti che si affermava essere stati contraffatti non erano 360.000 come scritto nel capo di imputazione ma meno di 3.000 e, allo stesso modo, non corrispondeva al vero la circostanza contestata secondo cui vi erano degli operai specificamente addetti alla cancellazione: precisava il ricorrente, infatti, che erano stati adibiti alla cancellazione solo occasionalmente alcuni operai, quando questi non erano impegnati in altra attività.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al ricorrente, rigettando il relativo ricorso.
Chiariva la Cassazione, infatti, che ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 515 cod. pen. è sufficiente la condotta di chi, esercitando un’attività commerciale, consegni al compratore una cosa diversa da quella oggetto di contratto o una cosa che abbia caratteristiche tali da farla credere di origine, provenienza, qualità o quantità diversa da quella dichiarata o pattuita.
Di conseguenza, il reato viene commesso anche quando la cosa venduta non abbia le caratteristiche che si aspettava il compratore e che erano state prospettate, implicitamente o esplicitamente, dal venditore al momento della messa in vendita.
In aggiunta di ciò, è inoltre necessario che il venditore abbia fraudolentemente fatto apparire al compratore che il bene corrispondeva a quello messo in vendita.
Secondo la Cassazione, dunque, è indubbio che, per quanto riguarda i prodotti alimentari, commette il reato di cui all’art. 515 c.p. chi vende un prodotto scaduto (e, quindi, che non sarebbe nemmeno vendibile), qualora ne sia stata contraffatta la data di scadenza.
Nel caso di specie, poiché i prodotti alterati non erano stati ancora venduti, il reato di “frode in commercio” non poteva dirsi propriamente consumato ma solo tentato, dal momento che il reato in questione può dirsi realizzato solo quando il prodotto contraffatto sia stato effettivamente consegnato all’acquirente.
Per quanto riguarda, invece, il rilievo del ricorrente relativo alla quantità di prodotti contraffatti, che sarebbero stati 3.000 e non 360.000, la Corte osservava che, in ogni caso, anche la contraffazione di 3.000 barattoli dimostrava la sistematicità della condotta posta in essere dall’imprenditore, con la conseguenza che la decisione di condanna doveva ritenersi pienamente corretta e motivata.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal ricorrente, confermando integralmente la sentenza di secondo grado e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.