In particolare, se l’uomo, dopo aver prestato il proprio consenso alla fecondazione eterologa, poi revoca tale consenso, può legittimamente esercitare l’azione di disconoscimento di paternità?
Nel caso esaminato dalla Cassazione, era accaduto questo: una coppia si era recata in Spagna per la fecondazione assistita; entrambi avevano stipulato un contratto con un istituto sanitario che si occupava di tali pratiche ma, dopo il trattamento embrionale, l’uomo aveva espressamente revocato il proprio consenso al trattamento stesso.
Su tali basi, l’uomo aveva esercitato l’azione di disconoscimento della paternità, ai sensi dell'art. 235 c.c..
La domanda era stata rigettata sia in primo che in secondo grado e, proprio per questo, l’interessato aveva deciso di rivolgersi alla Suprema Corte.
Nemmeno la Cassazione, tuttavia, riteneva che l’azione di disconoscimento della paternità potesse essere accolta, dal momento che l’art. 9 della legge n. 40 del 2004 prevede che, in caso di inseminazione artificiale, il coniuge o il convivente che abbia prestato il consenso al trattamento non può esercitare l’azione di disconoscimento di paternità.
Il consenso del coniuge o del partner, infatti, può essere revocato solo fino al momento della fecondazione dell’ovulo (art. 6 legge n. 40/2004).
Precisava la Cassazione, sul punto, che “consentire la revoca del consenso, anche in un momento successivo alla fecondazione dell'ovulo, non apparirebbe compatibile con la tutela costituzionale degli embrioni”, più volte affermata dalla Corte costituzionale (da ultimo, con le sentenze n. 151/2009 e 229/2015).
Riconoscere al marito/partner la possibilità di revocare il consenso dopo la fecondazione, infatti, “priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali e del connesso rapporto affettivo ed assistenziale, stante l'impossibilità di accertare la reale paternità a fronte dell'impiego di seme di provenienza ignota”.
Ebbene, nel caso di specie, poiché la revoca del consenso da parte dell’uomo era stata effettata dopo che il trattamento embrionale era già iniziato e il giorno successivo aveva avuto luogo l'impianto dell'ovulo fecondato nell'utero della madre, la Cassazione riteneva che l’azione di disconoscimento della paternità non potesse essere esercitata e, tantomeno, accolta.
La Cassazione, dunque, rigettava il ricorso proposto dall’uomo, confermando integralmente la sentenza resa dalla Corte d’appello, che aveva rigettato l’azione di disconoscimento della paternità.