Nel corso del giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’Appello aditi, rigettavano l’istanza della donna. I giudici d’appello, in particolare, evidenziavano come fosse emerso che la donna, pur non avendo prodotto in giudizio la documentazione relativa al proprio reddito, percepisse mensilmente una pensione di reversibilità e avesse, di recente, acquistato un immobile accendendo, a tal fine, un mutuo che continuava a pagare regolarmente. In sostanza, dunque, secondo i giudici di secondo grado, la domanda della donna non poteva trovare accoglimento poiché la stessa non aveva provato la sussistenza dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto a percepire un assegno divorzile.
La donna, rimasta soccombente in entrambi i gradi del giudizio di merito, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 5 della legge divorzio. La stessa eccepiva, poi, il fatto che i giudici di merito non avessero esaminato il suo CUD e la documentazione relativa alla sua condizione di invalida.
La Suprema Corte ha, tuttavia, dichiarato il ricorso inammissibile, in quanto la ricorrente si era, di fatto, limitata a riproporre le stesse censure da lei già mosse contro la sentenza di primo grado e, dunque, già analizzate dalla Corte d’Appello.
Gli stessi Ermellini hanno, comunque, evidenziato come, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, la decisione impugnata non si fosse basata su una carenza probatoria, quanto, piuttosto, sul fatto che fosse stato provato che essa disponeva di una capacità economica superiore a quella garantitale dalla sola pensione di reversibilità di cui era titolare, come dimostrato dall’acquisto di un immobile e dalla capacità di far fronte ad un mutuo, circostanza, questa, non compatibile con la percezione della sola citata pensione. È, infatti, di fronte a tali circostanze che la Corte d’Appello ha dovuto rilevare l’assenza di elementi comprovanti un’eventuale insufficienza di mezzi di sostentamento in capo alla donna, nonché una sua impossibilità di procurarseli con la propria attività lavorativa.
In seguito al superamento del requisito del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile, ad opera, prima, della sentenza n. 11504/2017 della Cassazione, e, poi, della sentenza n. 18287/2018, emessa dalle Sezioni Unite, il giudice, al fine di riconoscere tale diritto, deve ora, infatti, da un lato, comparare le condizioni economiche delle parti, e, dall’altro, verificare l’adeguatezza o meno dei mezzi di sostentamento del richiedente e la sua eventuale oggettiva impossibilità di procurarseli in maniera autonoma.
Come, inoltre, correttamente ritenuto dal giudici in relazione al caso di specie, in ossequio, peraltro, ad un consolidato orientamento della Suprema Corte, l’onere di provare la sussistenza di tali circostanze ricade sul coniuge che richieda l’attribuzione, in suo favore, dell’assegno divorzile (cfr. Cass. Civ., SSUU, n. 18287/2018; Cass. Civ., n. 10781/2019).