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Danno non patrimoniale subito dai genitori per le lesioni riportate dal figlio: è sufficiente la prova presuntiva

Danno non patrimoniale subito dai genitori per le lesioni riportate dal figlio: è sufficiente la prova presuntiva
Integrano la prova presuntiva sia la gravità delle lesioni, sia la strettissima convivenza familiare, che normalmente è propria del rapporto filiale.
A seguito di un grave incidente stradale, un ragazzo veniva portato presso un ospedale della provincia di Trapani, dove, dopo essere stato ricoverato, a causa delle ferite riportate, perdeva la gamba sinistra.
I genitori convenivano in giudizio l'ASL di Trapani e i sanitari dell'ospedale, chiedendo il risarcimento dei danni non patrimoniali per le lesioni gravissime riportate dal figlio, dovute anche alla responsabilità professionale dei convenuti. Veniva richiesto, in particolare, il risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale subìto "iure proprio" dai genitori.
Il Tribunale di Marsala, dopo aver esteso il contraddittorio anche nei confronti dei terzi chiamati in garanzia, accoglieva la domanda dei genitori. Diversamente, invece, decideva la Corte d’appello di Palermo che, rilevando la carenza di specifici elementi idonei a comprovare il pregiudizio lamentato dai genitori, riformava la sentenza di primo grado.
Veniva perciò proposto ricorso in Cassazione, prospettando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2059, 2727, 2729 c.c. e 2, 29, 30, 31 Cost., poiché i giudici d'appello avevano omesso, erroneamente, di considerare che la fondatezza del danno non patrimoniale richiesto avrebbe dovuto necessariamente evincersi, oltre che dalla gravità della lesione, anche dalla comprovata e pacifica convivenza dei genitori con il figlio.
La Corte di Cassazione si è espressa con l’ordinanza n. 1640/2020, ritenendo il ricorso fondato, poiché il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dai familiari di una persona lesa dall’illecito altrui, può essere dimostrato anche con ricorso alla prova presuntiva. Per integrare tale prova rilevano sia la gravità delle lesioni, sia la stretta convivenza familiare, che normalmente è propria del rapporto tra genitori e figlio. Queste circostanze, nel caso specifico, erano già state accertate in primo grado e non erano state ridiscusse.
La Corte d’appello, invece, oltre alle presunzioni, aveva richiesto una specifica prova ulteriore, affermando che, diversamente, si farebbe un uso “disinvolto” di questo mezzo di prova. Secondo la Cassazione, i giudici di secondo grado sono incorsi in una palese violazione di legge per erronea sussunzione della fattispecie concreta (accertata dal tribunale e non riesaminata in appello) nel regime legale delle presunzioni: “altro, infatti, è la prova specifica di un pregiudizio eccezionalmente aggravato rispetto alle normali conseguenze di un fatto quale quello oggetto di accertamento, altro sono queste ultime che, quindi, possono e debbono essere presunte appartenendo, in difetto di prove contrarie qui neppure ipotizzate, alla regolarità delle descritte relazioni umane”.
Per queste ragioni, la Suprema Corte cassa, con rinvio, la sentenza della Corte d’appello di Palermo, ribadendo il seguente principio di diritto: "il danno non patrimoniale consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa dall'altrui illecito, può essere dimostrato ricorrendo alla prova presuntiva, tipicamente integrata dalla gravità di lesioni quali la perdita di un arto inferiore, in uno alla convivenza familiare strettissima propria del rapporto filiale".


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