Nel quantificare la somma dovuta in risarcimento dei danni morali ai parenti, occorre quindi tenere conto anche "della sofferenza psichica subita dalla vittima di lesioni alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine".
La consapevolezza della morte "senza altra scelta" costituisce, pertanto, un’autonoma voce di danno non patrimoniale risarcibile, che si aggiunge a quello per la morte, e che si giustifica proprio per l’agonia vissuta dalla persona danneggiata in quel momento.
Sul punto è intervenuto anche il Tribunale di Roma con una recentissima sentenza (la n. 773/2017 del 18.01.2017).
I giudici di merito, con la sentenza citata, hanno chiarito che “i parenti hanno diritto al risarcimento non solo per la morte del familiare, ma anche per le sofferenze da questi patite nel periodo che intercorre tra l’infortunio e il decesso, sempre a condizione che durante tale arco di tempo l’infortunato sia rimasto cosciente”.
La giurisprudenza lo chiama «danno tanatologico» (dal greco thanatos, che significa «morte») o, più semplicemente, danno da morte.
Con il termine “danno tanatologico” si intende far riferimento al danno derivante dalla morte di un individuo, a causa di una condotta illecita da parte di un terzo. La problematica, alquanto discussa, sia in dottrina che in giurisprudenza, attiene all’autonoma risarcibilità di tale fattispecie di danno, separato e distinto rispetto al danno morale, biologico od esistenziale.
Con le sentenze delle Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, n. 26972 e n. 26973, la Corte, mettendo definitivamente fine al dibattito giurisprudenziale acceso, ha ribadito che le tipologie di danni risarcibili possono essere solo due, ovvero
- il danno patrimoniale ed
- il danno non patrimoniale
con la conseguenza che le altre categorie di elaborazione dottrinale (danno biologico, danno esistenziale, ecc.) possiedono solo una valenza meramente descrittiva.
Per utilizzare le parole dei giudici della Terza Sezione Civile “il giudice, nel liquidare la somma spettante al danneggiato, deve tenere conto dei diversi aspetti in cui il danno si atteggia nel caso concreto”.
In merito al danno tanatologico, secondo il giudice di legittimità, occorre tenere in considerazione, per la quantificazione del risarcimento del danno morale, anche della sofferenza psichica subita dalla vittima di lesioni fisiche, nel caso in cui la morte sia subentrata dopo poco tempo, soprattutto nel caso in cui, come nella specie, questa sia rimasta lucida durante l’agonia ed in “consapevole attesa della fine”.
Su quest’ultimo filone si muove la sentenza recentemente emessa dal Tribunale di Roma.
Secondo i giudici “i familiari hanno diritto al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dal loro parente – deceduto a seguito di un incidente stradale – nel periodo che va dal sinistro alla morte, qualora, durante la degenza, il danneggiato abbia avuto coscienza del proprio stato di sofferenza”.
Nel caso di specie, il giudici capitolini hanno provveduto a liquidare in via equitativa in danno non patrimoniale sofferto dalla vittima ai suoi familiari, tenendo conto:
- del tempo intercorso tra il danno e la morte,
- della natura delle lesioni riportate,
- del periodo ininterrotto di ricovero in ospedale prima del decesso.