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Il condominio può vietare i fiori sul davanzale

Il condominio può vietare i fiori sul davanzale
Il condomino non può installare fioriere mobili sul proprio terrazzo se tale divieto è previsto dal regolamento di condominio.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23128 del 14 novembre 2016, si è pronunciata in ordine ad un interessante caso in materia condominiale.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, i due proprietari di un appartamento avevano agito in giudizio nei confronti di un altro condomino, “il quale aveva sistemato sul parapetto del proprio terrazzo un vaso di fiori parzialmente occlusivo della vista mare esercitabile da essi in violazione del regolamento condominiale contrattuale”.

Gli attori chiedevano, dunque, “la condanna del convenuto a rimuovere la fioriera e qualunque ingombro limitante la veduta degli attori”.

Il condomino si opponeva alle richieste degli attori, evidenziando come “i terrazzi dei due appartamenti non erano realizzati a livello e, dunque, non poteva affermarsi l’esistenza di alcuna servitù reciproca di veduta (anche alla luce di ulteriori elementi costruttivi indicativi dell’inesistenza dell’invocata servitù)”. Inoltre, “il regolamento non poteva esser considerato contrattuale in quanto predisposto successivamente all’acquisto da parte sua dell’unità immobiliare”.

Il Tribunale, pronunciandosi in primo grado, accoglieva la domanda degli attori ma la sentenza veniva parzialmente riformata in grado d’appello, in quanto la Corte dichiarava il convenuto “proprietario esclusivo del muretto di delimitazione del terrazzo del suo immobile”.

Secondo la Corte d’appello, inoltre, “il regolamento condominiale che all’art. 4 pone il divieto per i condomini (in assenza di una delibera autorizzativa) di collocare fioriere mobili su terrazzini delle varie unità immobiliari”, era opponibile al condomino convenuto, in quanto “predisposto dall’originario costruttore su suo specifico incarico affidatogli con il contratto di acquisto”.

Di conseguenza, “era indubbia la natura convenzionale del regolamento in questione”, dal momento che “che l’appellante non aveva assunto il generico impegno a rispettare l’emanando regolamento ma aveva dato specifico incarico di predisporre tale regolamento in nome e per conto proprio”.

Il condomino convenuto in primo grado proponeva, dunque, ricorso per Cassazione, lamentando “la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 del c.c.

Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che il mandato conferito dal condomino alla venditrice “fosse di predisporre il regolamento condominiale e non soltanto di effettuare il deposito di esso presso il Notaio ai fini della trascrizione”.

La Corte di Cassazione non riteneva di poter accogliere tale motivo di ricorso, evidenziando come, nel contratto di compravendita, fosse scritto che “la parte acquirente rilascia alla società venditrice procura speciale affinché la stessa in nome e per conto di essa parte rappresentata, oltre che in nome proprio, provveda: ad effettuare presso un notaio in modo che possa operarsi anche la relativa trascrizione, il deposito del Regolamento di Condominio in corso di predisposizione a cure e spese della società venditrice, regolamento di condominio in cui sono precisate: le tabelle millesimali (….) le limitazioni imposte alle destinazioni delle porzioni immobiliari di proprietà individuali (….) la precisazione di limitazioni ed obblighi da rispettarsi nell’interesse dell’ordine e del godimento come, l’obbligo di coltivare e mantenere decorosamente a giardino le porzioni di aree cedute in proprietà il regolamento circa i divieti (…..)”.

Di conseguenza, secondo la Cassazione, dal contratto di compravendita emergeva, “per logica interna e per un significato complessivo della stessa clausola, nonché per il richiamo effettuato al Regolamento di condominio in fase di predisposizione a cura e spese della società e alle materie che lo stesso avrebbe disciplinato, che la procura speciale ricomprendesse il mandato alla società venditrice di predisporre il Regolamento condominiale”, anche per conto del condomino ricorrente.

Con altro motivo di ricorso, il condomino deduceva “la violazione e falsa applicazione dell’art. 1138 del c.c. e dei principi di diritto afferenti i criteri di formazione del regolamento contrattuale”.

Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che il Regolamento condominiale fosse allo stesso opponibile, in quanto non vi era statauna delibera condominiale di approvazione del regolamento che la venditrice (omissis) provvide a depositare presso il Notaio”. Inoltre, secondo il ricorrente, ammesso anche che il mandato conferito alla venditrice “fosse idoneo a conferire alla società ampio ed irrevocabile mandato per la compilazione ed il deposito e la trascrizione del regolamento di condominio”, ciò “non implicherebbe, comunque, l’approvazione del regolamento, dato che l’obbligo genericamente previsto in scrittura di rispettare il regolamento di condominio ancora non esistente, non potrebbe valere come mandato di predisporre un qualunque regolamento, né approvazione di un regolamento allo stato inesistente”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, riteneva infondato anche tale motivo di ricorso, essendo “indubbia la natura convenzionale del regolamento in questione, data dal fatto che l’appellante non ha assunto il generico impegno a rispettare l’emanando regolamento, ma ha dato specifico incarico di predisporre tale regolamento in nome e per conto proprio, previsione che consente di superare l’obiezione della mancanza di regolamento al momento dell’acquisto dell’unità immobiliare, posto che il suddetto regolamento, per quanto detto, deve ritenersi dal medesimo accettato nel rispetto delle forme obbligatoriamente prescritte”.

Pertanto, secondo la Corte, l’obbligatorietà del regolamento condominiale, anche per il condomino, derivava dal potere rappresentativo concesso alla società venditrice dell’immobile.

Dunque, poiché “il divieto di formare fioriere mobili rientrava nella materia affidata al regolamento”, il ricorso doveva essere rigettato, con integrale conferma della sentenza di secondo grado e conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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