L'alto numero di cause condominiali dimostra che non sempre la convivenza tra vicini è pacifica: rumori molesti, uso improprio degli spazi comuni, installazioni abusive o attività di ristrutturazione fuori dall'orario consentito sono soltanto alcune delle ragioni che portano i condomini in tribunale. Oltre a questi va citata la cattiva gestione degli animali domestici che, tuttavia, non può essere impedita "a monte", con un generale divieto di detenere cani - o altre tipologie di animali da compagnia - inserito nel regolamento condominiale.
Lo afferma la riforma del condominio, ma anche alcune recenti pronunce giurisprudenziali. In materia la norma di riferimento è l'art. 1138 del c.c. secondo cui, quando in uno stabile il numero dei condomini supera le dieci unità, deve essere redatto un regolamento comprensivo di varie regole, incluse quelle inerenti alla tutela del decoro dell'edificio. Al quarto comma dell'articolo citato si prevede che tale testo non può in alcun modo limitare i diritti di ciascun condomino; in particolare, nell'ultimo comma - a seguito della legge n. 220 del 2012 - è indicata l'impossibilità per il regolamento di vietare il possesso o la detenzione di animali domestici.
A fare ulteriore chiarezza è intervenuta una recente decisione della magistratura. Ci riferiamo alla sentenza n. 134 del 25 gennaio scorso, emessa dal tribunale di Cagliari, secondo cui le norme di un regolamento che impediscono avere animali domestici sono sempre nulle, anche se contenute in regolamenti non di tipo assembleare ma contrattuale. Questo giudice ha così dichiarato nullo, e privo di effetto, il divieto incluso nel regolamento impugnato da un condomino proprietario di animale, al quale era stato precluso l’accesso all'edificio con il proprio cane.
Pertanto, è ad esempio nulla e priva di effetto una disposizione di regolamento condominiale che impedisca di tenere animali domestici i quali non possono vivere costantemente in un appartamento e - in particolare - cani, nell'assunto di non poter provvedere alle loro esigenze senza il rischio di lordare e danneggiare gli spazi comuni (ad es. scale, cortile, ascensore ecc.).
La linea giurisprudenziale odierna aderisce al dettato del legislatore, ma è vero che, prima del varo della riforma del condominio, i giudici consideravano che il divieto di avere animali domestici in casa potesse essere incluso soltanto in un regolamento contrattuale. Tali sono i regolamenti votati in adunanza assembleare da tutti i condomini, o quelli allegati ai singoli atti di compravendita e - perciò - accettati da tutti i condomini, seppur in momenti tra loro distinti, all’atto della stipula del rogito.
Se - in passato - il divieto non poteva essere previsto in un regolamento assembleare, la ragione stava nella natura stessa del divieto, tale da ostacolare l'esercizio del diritto di proprietà esclusiva da parte di un condomino. Per la validità di una tale imposizione non era sufficiente la mera maggioranza dei consensi, ma era necessario il consenso di tutti.
Ma, considerando una decisione come quella citata, l'aggiornamento introdotto dall'ultimo comma dell'art. 1138 c.c. porta a ritenere che il legislatore abbia inteso estendere il divieto a tutti i regolamenti condominiali, nessuno escluso, e ciò peraltro in aderenza a una normativa interna e internazionale, sempre più orientata alla protezione degli animali come esseri senzienti e alla valorizzazione del rapporto persona-animale. Ben si comprende, allora, perché il tribunale di Cagliari, nella menzionata sentenza, abbia affermato che tale disposizione di legge si applica altresì ai regolamenti condominiali adottati in data anteriore all'entrata in vigore della riforma. Tanto da determinare la nullità sopravvenuta dell'eventuale divieto predisposto.
Ma, in conformità all'art. 1 dell'ordinanza del Ministero della Salute del 6 agosto 2013, nelle aree comuni, come cortili o scale, l'animale dovrà essere tenuto al guinzaglio e in ascensore dovrà indossare la museruola se ci sono altri condomini.
Concludendo, in applicazione del generale principio di autonomia contrattuale, un contratto di locazione potrà - invece - imporre limiti che il regolamento non contiene e, quindi, il locatore potrà legittimamente vietare al conduttore di portare con sé un animale domestico.
Lo afferma la riforma del condominio, ma anche alcune recenti pronunce giurisprudenziali. In materia la norma di riferimento è l'art. 1138 del c.c. secondo cui, quando in uno stabile il numero dei condomini supera le dieci unità, deve essere redatto un regolamento comprensivo di varie regole, incluse quelle inerenti alla tutela del decoro dell'edificio. Al quarto comma dell'articolo citato si prevede che tale testo non può in alcun modo limitare i diritti di ciascun condomino; in particolare, nell'ultimo comma - a seguito della legge n. 220 del 2012 - è indicata l'impossibilità per il regolamento di vietare il possesso o la detenzione di animali domestici.
A fare ulteriore chiarezza è intervenuta una recente decisione della magistratura. Ci riferiamo alla sentenza n. 134 del 25 gennaio scorso, emessa dal tribunale di Cagliari, secondo cui le norme di un regolamento che impediscono avere animali domestici sono sempre nulle, anche se contenute in regolamenti non di tipo assembleare ma contrattuale. Questo giudice ha così dichiarato nullo, e privo di effetto, il divieto incluso nel regolamento impugnato da un condomino proprietario di animale, al quale era stato precluso l’accesso all'edificio con il proprio cane.
Pertanto, è ad esempio nulla e priva di effetto una disposizione di regolamento condominiale che impedisca di tenere animali domestici i quali non possono vivere costantemente in un appartamento e - in particolare - cani, nell'assunto di non poter provvedere alle loro esigenze senza il rischio di lordare e danneggiare gli spazi comuni (ad es. scale, cortile, ascensore ecc.).
La linea giurisprudenziale odierna aderisce al dettato del legislatore, ma è vero che, prima del varo della riforma del condominio, i giudici consideravano che il divieto di avere animali domestici in casa potesse essere incluso soltanto in un regolamento contrattuale. Tali sono i regolamenti votati in adunanza assembleare da tutti i condomini, o quelli allegati ai singoli atti di compravendita e - perciò - accettati da tutti i condomini, seppur in momenti tra loro distinti, all’atto della stipula del rogito.
Se - in passato - il divieto non poteva essere previsto in un regolamento assembleare, la ragione stava nella natura stessa del divieto, tale da ostacolare l'esercizio del diritto di proprietà esclusiva da parte di un condomino. Per la validità di una tale imposizione non era sufficiente la mera maggioranza dei consensi, ma era necessario il consenso di tutti.
Ma, considerando una decisione come quella citata, l'aggiornamento introdotto dall'ultimo comma dell'art. 1138 c.c. porta a ritenere che il legislatore abbia inteso estendere il divieto a tutti i regolamenti condominiali, nessuno escluso, e ciò peraltro in aderenza a una normativa interna e internazionale, sempre più orientata alla protezione degli animali come esseri senzienti e alla valorizzazione del rapporto persona-animale. Ben si comprende, allora, perché il tribunale di Cagliari, nella menzionata sentenza, abbia affermato che tale disposizione di legge si applica altresì ai regolamenti condominiali adottati in data anteriore all'entrata in vigore della riforma. Tanto da determinare la nullità sopravvenuta dell'eventuale divieto predisposto.
Ma, in conformità all'art. 1 dell'ordinanza del Ministero della Salute del 6 agosto 2013, nelle aree comuni, come cortili o scale, l'animale dovrà essere tenuto al guinzaglio e in ascensore dovrà indossare la museruola se ci sono altri condomini.
Concludendo, in applicazione del generale principio di autonomia contrattuale, un contratto di locazione potrà - invece - imporre limiti che il regolamento non contiene e, quindi, il locatore potrà legittimamente vietare al conduttore di portare con sé un animale domestico.