La
Corte di Cassazione, sezione lavoro, con
sentenza n. 21158 del 7 agosto 2019 ha affrontato la vicenda di un lavoratore Telecom il quale, in seguito ad un trasferimento di ramo d’azienda successivamente dichiarato illegittimo, costituiva in mora l’impresa cedente per ottenere l’erogazione della propria
retribuzione.
Più in particolare, la Corte di Cassazione dà risposta a due diversi quesiti.
Innanzitutto, si tratta di stabilire se i crediti che il lavoratore vanta nei confronti dell’impresa cedente abbiano natura retributiva o risarcitoria.
Come conseguenza della risposta a tale interrogativo, è logico dedurne l’applicabilità o meno dell’istituto della compensatio lucri cum damno, ovvero la detraibilità dalla somma dovuta dall’impresa cedente di quanto già corrisposto dall’impresa cessionaria.
Tali problematiche traggono la loro origine da un dubbio di fondo: il fatto che ci possa essere una indebita duplicazione di retribuzione a favore del lavoratore, a fronte di un’unica attività lavorativa prestata dallo stesso. Da ciò conseguirebbe, così ragionando, una locupletazione non dovuta.
Tuttavia, osservano i giudici della Cassazione, anche facendo leva su precedenti decisioni della giurisprudenza sul tema, l’unicità del rapporto lavorativo viene meno qualora il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto alle cui dipendenze il lavoratore continui di fatto a lavorare.
L’unicità del rapporto, infatti, presupporrebbe la legittimità della vicenda traslativa ex art. 2112 c.c.
Accertatane l’invalidità, il rapporto con il destinatario della cessione è di mero fatto.
Nel caso di invalidità della cessione, in altre parole, il rapporto di lavoro non si trasferisce e resta invece nella titolarità dell’originario cedente.
Infatti, ricordano i giudici, in tema di interposizione di manodopera, ove ne venga accertata l’illegittimità e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’omesso ripristino del rapporto di lavoro ad opera del
committente determina l’
obbligo di quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni, a decorrere dalla messa in mora.
A nulla rileva che il lavoratore abbia di fatto prestato la sua attività lavorativa per l’impresa cessionaria poiché, una volta che l’impresa cedente manifestasse la volontà di accettare la prestazione, il lavoratore potrebbe scegliere di rendere la propria
prestazione in favore di essa, non solo giuridicamente, ma anche effettivamente.
Conclusivamente, i giudici della Corte di Cassazione hanno affermato che le retribuzioni corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore dopo che questo abbia messo a disposizione le sue energie lavorative in favore dell'alienante, non hanno effetto estintivo dell'obbligazione retributiva.
Essa, infatti, grava sul cedente che rifiuta, senza giustificazione, la
controprestazione lavorativa.