Nel caso esaminato dalla Corte, il Tribunale di Bergamo aveva accolto la domanda, proposta da un gruppo di dipendenti di una società, di condanna del proprio datore di lavoro a retribuire la festività dell’8 dicembre 2005.
I lavoratori, in altri termini, chiedevano la retribuzione per quella giornata festiva in cui non avevano lavorato.
La Corte d’Appello di Brescia, pronunciatasi nel secondo grado di giudizio, aveva rigettato l’appello proposto dalla società datrice di lavoro, confermando la sentenza di primo grado e ricordando che “la giornata dell’8 dicembre rientrava ai sensi dell’art. 2 L. n. 260/49 (nel testo sostituito dalla legge n. 90/1954) tra le festività per le quali spettava il diritto ad astenersi dal lavoro o, in caso di effettuazione della prestazione, anche un compenso aggiuntivo”.
Tale disposizione, peraltro, evidenziava la Corte d’Appello, “non può essere modificata in senso peggiorativo dalla contrattazione collettiva”.
La società datrice di lavoro, ritenendo la sentenza ingiusta, proponeva ricorso in Cassazione, rilevando come, a suo dire, non spettasse “la richiesta di retribuzione in quanto non vi era stata prestazione lavorativa avendo indebitamente i lavoratori intimati rifiutato di lavorare nonostante la previsione di cui all’art. 12 CCNL”.
Secondo la società, in particolare, “si trattava di un indebito rifiuto che paralizzava la pretesa al pagamento della prestazione lavorativa”.
La Corte di Cassazione non riteneva di poter accogliere il ricorso presentato dalla società datrice di lavoro, considerandolo infondato.
La Corte d’Appello, infatti, del tutto correttamente, si era attenuta all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, secondo il quale “il diritto deil lavoratore di astenersi dall’attività lavorativa, in caso di festività, è pieno ed ha carattere generale e quindi non rilevano le ragioni che hanno determinato l’assenza di prestazione, peraltro stabilita per legge”.
Il trattamento economico ordinario, pertanto, deriva, come specificato dalla Corte d’Appello, “direttamente dalla legge e non possono su questo piano aver alcun rilievo le disposizioni contrattuali (…) che potrebbero avere, al più, un rilievo disciplinare”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, condannando la società datrice di lavoro al pagamento delle spese di lite in favore delle altre parti del procedimento.