In particolare, se gli scontrini dell’etilometro vengono corretti a penna dagli agenti verbalizzanti, può essere messa in dubbio la validità dell’accertamento effettuato loro tramite?
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Torino aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato un conducente per guida in stato di ebbrezza (art. 186 Codice della Strada), essendo stato rilevato un tasso alcol emico di g/l 1,74 e 1,77.
Ritenendo la decisione ingiusta, il conducente condannato decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, al fine di ottenere l’annullamento della sentenza emessa dalla Corte d’appello.
Secondo il ricorrente, in particolare, il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente ritenuto la colpevolezza dell’imputato, “pur in assenza di una prova certa che gli scontrini dell’alcoltest fossero riconducibili allo stesso”.
Nello specifico, infatti, la Corte d’appello non avrebbe rilevato “che l’orario degli scontrini non corrispondeva a quello del verbale ed era stata necessaria una correzione a penna fatta dai verbalizzanti per rendere gli atti coerenti tra loro”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Secondo la Cassazione, infatti, nel caso di specie, “le correzioni apportate a mano sugli scontrini, non sono sfuggite alla valutazione del giudice di merito che, sul punto, ha offerto una specifica motivazione, osservando come si fosse trattato di una mera irregolarità che non metteva in dubbio la funzionalità dell’apparecchio e che l’accertamento si riferisse al F. , tenuto conto che sugli scontrini figurava il suo nome”.
Proseguiva la Corte, inoltre, nel rilevare, “ quanto all’attendibilità degli esiti dell’alcoltest”, che il giudice di secondo grado aveva “evidenziato come i verbalizzanti avessero rilevato elementi sintomatici, quali l’alito vinoso, la difficoltà di coordinamento e di espressione e la condotta di guida contromano ed a zig zag, tanto evidente, da indurre un cittadino ad allertare la polizia stradale che era poi prontamente intervenuta”.
Poiché, dunque, secondo la Cassazione, non vi era stato alcun travisamento delle prove e la motivazione della sentenza di secondo grado era pienamente coerente, il ricorso non poteva che essere rigettato.
La Cassazione, pertanto, confermava integralmente la sentenza di condanna resa dalla Corte d’appello, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.