Allarme per tutti i “fashion addicted” e compratori compulsivi: dal 2024 aumentano i costi per tutti gli utenti degli e-commerce che vorranno restituire un prodotto ordinato online. Infatti, i grandi marchi dell’e-commerce stanno cambiando rotta e abbandonando la politica del reso gratuito. Questo potrebbe contribuire all'abbassamento delle vendite nei saldi 2024.
Cosa sta succedendo? I big del commercio online, tra cui Zara o H&M stanno spostando le spese di spedizione del prodotto reso a carico dei clienti, detraendole dal rimborso. Ciò evita costi considerevoli a carico delle aziende ed educa i compratori ad un acquisto più ragionevole.
La stessa Amazon, leader indiscussa del commercio online, ha rincarato di un dollaro il reso effettuato sul territorio nazionale statunitense. Non c’è da stupirsi se questa politica verrà estesa presto anche agli altri Paesi al di fuori degli USA. Anche se per il momento non c’è alcun comunicato della società che riguardi l’Italia.
Diciamolo pure, tutti, chi più e chi meno abbiamo usufruito della conveniente pratica del reso gratuito: comprare online più taglie dello stesso capo, provarlo con comodità a casa e restituire le misure che non andavano bene, in forma totalmente gratuita. “Bei vecchi tempi” diremo tra un po’, in quanto è possibile che queste pratiche abbiano ormai le ore contate.
Diritto di recesso di acquisti online: cosa prevede la legge a riguardo?
Il diritto di recesso, ossia il cosiddetto “diritto al ripensamento”, accorre in tutela del consumatore che ha effettuato degli acquisti online. In pratica, lo stesso ha il potere di ripensare agli acquisti fatti sulle piattaforme online e sciogliersi dal contratto, se il bene acquistato non è di suo gradimento. Ciò senza necessità di dare motivazioni e con conseguente restituzione del bene e rimborso di quanto pagato.
La restituzione deve avvenire entro 14 giorni, decorrenti da quando il consumatore ha comunicato la volontà del ripensamento al venditore.
Più precisamente, la normativa europea e il codice del consumo (artt. 52 e ss.), prevedono che in caso di diritto di recesso, al consumatore spetti il rimborso totale di tutti i pagamenti effettuati al venditore, sia delle spese di acquisto che di quelle standard di consegna dei prodotti.
Sull’argomento è intervenuta addirittura la Corte di Giustizia che ha precisato, con la sentenza C-511/08, che la normativa europea impedisce alle normative nazionali di prevedere che il venditore possa addebitare le spese di consegna dei prodotti al consumatore che eserciti il diritto di recesso.
Ovviamente ciò riguarda le spese di consegna standard; ove l’acquirente si sia avvalso di modalità di spedizione più esose, i costi resteranno a suo carico e quindi non andranno rimborsate.
Mentre diverso è il discorso per le spese di restituzione del prodotto. Il codice del consumo infatti prevede che tali costi debbano essere sostenuti dal consumatore a meno che la restituzione gratuita sia prevista dalle condizioni generali di vendita.
Che differenza c’è tra recesso e reso?
Sebbene siano spesso utilizzati come sinonimi, reso e recesso sono due pratiche commerciali differenti.
Il recesso si è detto essere il diritto al c.d. ripensamento, previsto dal Codice del Consumo.
Il reso invece fa parte della politica aziendale del singolo sito e-commerce e riguarda le politiche di restituzione stabilite dallo stesso.
Il venditore ha infatti la facoltà di prolungare la durata del periodo di recesso e farsi carico delle spese di restituzione (il c.d. reso gratuito). Questa è una politica discrezionale delle aziende per fidelizzare la clientela. Tuttavia, pare che il tempo del reso gratuito stia per finire e da ora ci toccherà fare più attenzione agli acquisti online, o a risentirne sarà il nostro portafoglio.
Cosa sta succedendo? I big del commercio online, tra cui Zara o H&M stanno spostando le spese di spedizione del prodotto reso a carico dei clienti, detraendole dal rimborso. Ciò evita costi considerevoli a carico delle aziende ed educa i compratori ad un acquisto più ragionevole.
La stessa Amazon, leader indiscussa del commercio online, ha rincarato di un dollaro il reso effettuato sul territorio nazionale statunitense. Non c’è da stupirsi se questa politica verrà estesa presto anche agli altri Paesi al di fuori degli USA. Anche se per il momento non c’è alcun comunicato della società che riguardi l’Italia.
Diciamolo pure, tutti, chi più e chi meno abbiamo usufruito della conveniente pratica del reso gratuito: comprare online più taglie dello stesso capo, provarlo con comodità a casa e restituire le misure che non andavano bene, in forma totalmente gratuita. “Bei vecchi tempi” diremo tra un po’, in quanto è possibile che queste pratiche abbiano ormai le ore contate.
Diritto di recesso di acquisti online: cosa prevede la legge a riguardo?
Il diritto di recesso, ossia il cosiddetto “diritto al ripensamento”, accorre in tutela del consumatore che ha effettuato degli acquisti online. In pratica, lo stesso ha il potere di ripensare agli acquisti fatti sulle piattaforme online e sciogliersi dal contratto, se il bene acquistato non è di suo gradimento. Ciò senza necessità di dare motivazioni e con conseguente restituzione del bene e rimborso di quanto pagato.
La restituzione deve avvenire entro 14 giorni, decorrenti da quando il consumatore ha comunicato la volontà del ripensamento al venditore.
Più precisamente, la normativa europea e il codice del consumo (artt. 52 e ss.), prevedono che in caso di diritto di recesso, al consumatore spetti il rimborso totale di tutti i pagamenti effettuati al venditore, sia delle spese di acquisto che di quelle standard di consegna dei prodotti.
Sull’argomento è intervenuta addirittura la Corte di Giustizia che ha precisato, con la sentenza C-511/08, che la normativa europea impedisce alle normative nazionali di prevedere che il venditore possa addebitare le spese di consegna dei prodotti al consumatore che eserciti il diritto di recesso.
Ovviamente ciò riguarda le spese di consegna standard; ove l’acquirente si sia avvalso di modalità di spedizione più esose, i costi resteranno a suo carico e quindi non andranno rimborsate.
Mentre diverso è il discorso per le spese di restituzione del prodotto. Il codice del consumo infatti prevede che tali costi debbano essere sostenuti dal consumatore a meno che la restituzione gratuita sia prevista dalle condizioni generali di vendita.
Che differenza c’è tra recesso e reso?
Sebbene siano spesso utilizzati come sinonimi, reso e recesso sono due pratiche commerciali differenti.
Il recesso si è detto essere il diritto al c.d. ripensamento, previsto dal Codice del Consumo.
Il reso invece fa parte della politica aziendale del singolo sito e-commerce e riguarda le politiche di restituzione stabilite dallo stesso.
Il venditore ha infatti la facoltà di prolungare la durata del periodo di recesso e farsi carico delle spese di restituzione (il c.d. reso gratuito). Questa è una politica discrezionale delle aziende per fidelizzare la clientela. Tuttavia, pare che il tempo del reso gratuito stia per finire e da ora ci toccherà fare più attenzione agli acquisti online, o a risentirne sarà il nostro portafoglio.