Una recente sentenza del Tribunale di Napoli potrebbe segnare un punto di svolta significativo per i docenti precari e il riconoscimento dell’abilitazione professionale. Secondo la decisione, l’esperienza maturata sul campo, in particolare l’insegnamento svolto per almeno tre anni, potrebbe essere considerata equivalente a un titolo abilitante, offrendo nuove opportunità di inserimento nelle graduatorie scolastiche.
I fatti
Un docente laureato in Architettura ha presentato ricorso al Tribunale di Napoli, chiedendo che il servizio prestato per almeno tre anni nella scuola secondaria fosse riconosciuto come abilitante. L’argomentazione si fondava sul principio europeo secondo cui l’esperienza didattica pratica può essere equiparata al titolo formale. Il docente ha chiesto l'accesso alla prima fascia delle Graduatorie Provinciali per le Supplenze (GPS) e alla seconda fascia delle Graduatorie d’Istituto (GI), riservate agli abilitati.
Il 27 novembre 2024, il giudice M. R. Palumbo ha accolto il ricorso, richiamando la sentenza Mascolo della Corte di Giustizia UE (2014), che riconosceva la legittimità del servizio continuativo come titolo abilitante. Inoltre, è stata depositata una sentenza innovativa della dott.ssa Maria Gaia Majorano, secondo la quale tre anni di insegnamento, uniti a un titolo accademico e ai 24 CFU, sono sufficienti per ottenere l’abilitazione. Il Tribunale ha ordinato l’inserimento del docente nella prima fascia delle GPS e nella seconda fascia delle GI, riservate agli abilitati.
Questa sentenza contrasta con l’attuale modello basato su percorsi accademici di 30/36 CFU, considerati onerosi per docenti con anni di esperienza pratica consolidata. La sentenza apre, dunque, nuove prospettive sulla valorizzazione del lavoro sul campo e solleva perplessità sul futuro dei percorsi accademici per l’abilitazione.
I fatti
Un docente laureato in Architettura ha presentato ricorso al Tribunale di Napoli, chiedendo che il servizio prestato per almeno tre anni nella scuola secondaria fosse riconosciuto come abilitante. L’argomentazione si fondava sul principio europeo secondo cui l’esperienza didattica pratica può essere equiparata al titolo formale. Il docente ha chiesto l'accesso alla prima fascia delle Graduatorie Provinciali per le Supplenze (GPS) e alla seconda fascia delle Graduatorie d’Istituto (GI), riservate agli abilitati.
Il 27 novembre 2024, il giudice M. R. Palumbo ha accolto il ricorso, richiamando la sentenza Mascolo della Corte di Giustizia UE (2014), che riconosceva la legittimità del servizio continuativo come titolo abilitante. Inoltre, è stata depositata una sentenza innovativa della dott.ssa Maria Gaia Majorano, secondo la quale tre anni di insegnamento, uniti a un titolo accademico e ai 24 CFU, sono sufficienti per ottenere l’abilitazione. Il Tribunale ha ordinato l’inserimento del docente nella prima fascia delle GPS e nella seconda fascia delle GI, riservate agli abilitati.
Questa sentenza contrasta con l’attuale modello basato su percorsi accademici di 30/36 CFU, considerati onerosi per docenti con anni di esperienza pratica consolidata. La sentenza apre, dunque, nuove prospettive sulla valorizzazione del lavoro sul campo e solleva perplessità sul futuro dei percorsi accademici per l’abilitazione.
La sentenza Mascolo della Corte di giustizia UE
Con la sentenza Mascolo la Corte di giustizia UE si è pronunciata, per la prima volta, sulla questione dei “precari” delle scuole statali italiane. In particolare, la sentenza ha interpretato la clausola 5.1 della direttiva 99/70/CE, la quale prevede un elenco di “misure di prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato".
Nel caso della normativa italiana è risultato evidente, agli occhi del giudice europeo, lo scollamento tra il dato normativo e quello della realtà: "la normativa nazionale che consente il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per coprire, tramite supplenze annuali, posti vacanti e disponibili in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo, sebbene giustificata astrattamente da ragioni obiettive, porta, infatti, nella pratica ad un ricorso abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, proprio perché il termine di immissione in ruolo dei docenti nell’ambito di tale sistema è tanto variabile quanto incerto".
Da un lato, infatti, la normativa in questione non fissa alcun termine preciso riguardo all’organizzazione delle procedure concorsuali, dal momento che queste ultime dipendono dalle disponibilità finanziarie dello Stato e dalla valutazione discrezionale dell’amministrazione. Dall’altro lato, l’immissione in ruolo per effetto dell’avanzamento dei docenti in graduatoria, essendo determinata dalla durata complessiva dei contratti di lavoro a tempo determinato, nonché dai posti nel frattempo divenuti vacanti, dipenderebbe da circostanze aleatorie e imprevedibili. Si consentirebbe così, in assenza di un termine preciso per l’espletamento delle procedure concorsuali che pongono fine alla supplenza, di soddisfare esigenze permanenti nelle scuole statali, derivanti dalla mancanza strutturale di personale di ruolo.
Il decreto Salva Infrazioni
In seguito a una procedura di infrazione avviata dall’Unione Europea nel 2019, con cui è stata contestata all’Italia la mancata tutela dei lavoratori precari, sottolineandosi come la normativa nazionale non sanzionasse in modo adeguato l’abuso dei contratti a tempo determinato, il legislatore nazionale con il D.L. 131/2024 - decreto Salva Infrazioni - ha rivisitato l'art. 36 del Testo unico del pubblico impiego. La nuova disposizione prevede che, nel caso di danno dovuto all’abuso nella successione di contratti a termine e salvo il diritto del lavoratore di dimostrare un danno maggiore, il giudice determini un’indennità tra un minimo di quattro e un massimo di ventiquattro mensilità, calcolata sulla base dell'ultima retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Questo risarcimento tiene conto della gravità della violazione, del numero di contratti in successione e della durata complessiva del rapporto.