Vuoi interrompere la gravidanza? Prima sei obbligata ad ascoltare il battito del feto. È questa la proposta annunciata sulla pagina Facebook istituzionale del VI Municipio di Roma, l’unico guidato da Fratelli d’Italia. Lo stesso, da qualche giorno, ha aperto la raccolta firme per la proposta di legge di iniziativa popolare “Un cuore che Batte” promossa dall'associazione “Ora et labora in difesa della vita”.
Il progetto di legge prevede di inserire, all’interno dell’art. 14 della legge 194 del 1978, il comma 1-bis secondo cui il medico, che effettua la visita per l’interruzione volontaria di gravidanza, "è obbligato a far vedere – tramite esami strumentali alla donna intenzionata ad abortire – il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso".
Fra le prime a firmare alcune esponenti dei movimento Pro Vita, che stanno promuovendo una campagna via social per raggiungere le 50mila firme necessarie per portare la proposta di legge in Parlamento.
La legge 194 del 1978, la c.d. legge sull’aborto, permette l’interruzione volontaria di gravidanza alle donne entro i primi 90 giorni dall’inizio della gestazione. E in casi specifici, disciplinati dalla legge, l’interruzione della gravidanza può essere attuata anche oltre questo termine.
In ogni caso, la stessa legge prevede l'attivazione di misure a sostegno della donna affinché non si senta costretta ad abortire (ad esempio, a causa di difficoltà economiche), ma di certo non contempla metodi che puntino a farla sentire in colpa o a provocare un trauma.
“È una proposta che non rispetta le scelte delle donne, le tratta come inconsapevoli e mira solo a colpevolizzarle”, dichiara la senatrice del Partito Democratico, Cecilia D’Elia in merito alla iniziativa legislativa.
Difatti, se tale progetto di legge passasse, andrebbe non solo a violare la libera scelta delle donne di autodeterminarsi, ma sarebbe anche lesiva della dignità delle stesse. Dignità che proprio l’art. 14 della legge 194 promette di tutelare. Senza considerare che quegli strumenti medici, pensati proprio per tutelare la salute del feto, ma anche della donna, finirebbero per essere strumentalizzati proprio contro quest'ultima.
Il progetto di legge prevede di inserire, all’interno dell’art. 14 della legge 194 del 1978, il comma 1-bis secondo cui il medico, che effettua la visita per l’interruzione volontaria di gravidanza, "è obbligato a far vedere – tramite esami strumentali alla donna intenzionata ad abortire – il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso".
Fra le prime a firmare alcune esponenti dei movimento Pro Vita, che stanno promuovendo una campagna via social per raggiungere le 50mila firme necessarie per portare la proposta di legge in Parlamento.
La legge 194 del 1978, la c.d. legge sull’aborto, permette l’interruzione volontaria di gravidanza alle donne entro i primi 90 giorni dall’inizio della gestazione. E in casi specifici, disciplinati dalla legge, l’interruzione della gravidanza può essere attuata anche oltre questo termine.
In ogni caso, la stessa legge prevede l'attivazione di misure a sostegno della donna affinché non si senta costretta ad abortire (ad esempio, a causa di difficoltà economiche), ma di certo non contempla metodi che puntino a farla sentire in colpa o a provocare un trauma.
“È una proposta che non rispetta le scelte delle donne, le tratta come inconsapevoli e mira solo a colpevolizzarle”, dichiara la senatrice del Partito Democratico, Cecilia D’Elia in merito alla iniziativa legislativa.
Difatti, se tale progetto di legge passasse, andrebbe non solo a violare la libera scelta delle donne di autodeterminarsi, ma sarebbe anche lesiva della dignità delle stesse. Dignità che proprio l’art. 14 della legge 194 promette di tutelare. Senza considerare che quegli strumenti medici, pensati proprio per tutelare la salute del feto, ma anche della donna, finirebbero per essere strumentalizzati proprio contro quest'ultima.
In Italia abbiamo già dei precedenti. Infatti, nel 2022, diverse donne in Umbria e nelle Marche hanno denunciato di essere state costrette a sentire il battito del feto prima di procedere all’interruzione di gravidanza. Sull’accaduto, immediatamente, la candidata del centro sinistra Elisabetta Piccoletti aveva chiesto agli ispettori del Ministero della Sanità di fare i dovuti controlli per verificare la veridicità delle segnalazioni. La candidata inoltre evidenziava che, se tali pratiche fossero davvero prassi degli ospedali, «si tratterebbe di un fatto gravissimo, una pressione psicologica brutale, una forma di criminalizzazione tesa a far nascere sensi di colpa».
In realtà, la questione del battito fetale è un aspetto fondamentale nella legislazione sull’aborto degli Stati più conservatori: si va dalla Russia di Putin alla Turchia di Erdogan, fino agli Stati Uniti, dove il battito cardiaco è stato inserito nella legislazione statale in materia di interruzione di gravidanza.
Anche nella vicina Ungheria, dal 2022, le donne sono obbligate a sentire il battito del feto prima di poter accedere all’aborto. La decisione del primo ministro di estrema destra Viktor Orbán ha suscitato forti critiche in tutta la nazione e anche a livello europeo.
La principale organizzazione medica ungherese, la Camera medica ungherese e la International Planned Parenthood Federation (IPPF) hanno criticato il governo per aver proceduto senza consultazioni pubbliche e senza input da parte di donne o medici. Il nuovo requisito "non ha scopo medico e serve solo a umiliare le donne", ha affermato l'IPPF.
Amnesty International parla di un "preoccupante declino". Questa decisione presa "senza alcuna consultazione" renderà "più difficile l'accesso all'aborto" e "traumatizzerà più donne già in situazioni difficili", ha detto all'Afp il portavoce Aron Demeter.
L’aborto sicuramente non è una scelta fatta a cuor leggero. Pertanto, se lo scopo della proposta è tutelare il feto, parimenti va tutelata la salute fisica e psicologica delle donne che, nella gran parte dei casi, rischierebbe di rimanere compromessa da un’esperienza di questo tipo.