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Usucapione da parte del coniuge della casa familiare: si può fare?

Usucapione da parte del coniuge della casa familiare: si può fare?
La casa del coniuge possessore, adibita a casa familiare, può essere usucapita dall'altro coniuge? Scopriamo la risposta della Cassazione
Una donna si era rivolta al Tribunale di Rovigo al fine di veder riconosciuta in suo favore l'usucapione della casa familiare, di cui il marito era comproprietario assieme al fratello. La domanda, tuttavia, era stata rigettata sia in primo grado che in appello, giungendo infine all'esame della Corte di Cassazione.


Con l'ordinanza
n. 18028/2023, la Suprema Corte ha nuovamente negato il diritto alla donna. Ma perché?


Prima di esaminare le motivazioni, ripassiamo insieme cos'è l'usucapione.
Si tratta, essenzialmente, di un modo di acquisto a titolo originario della proprietà e degli altri diritti reali di godimento. Ma quali sono i requisiti per usucapire un bene?


Occorre in primo luogo l'esercizio delpossesso, ossia di un potere di fatto sulla cosa. Tale possesso deve essere continuo (art. 1158), non interrotto (art. 1167), pacifico e pubblico (art. 1163).
Per i beni immobili, per aversi usucapione, occorre che il possesso sia continuato per venti anni.


Ciò che distingue il possesso dalla detenzione (diritto civile) è la presenza, nel possessore, del corpus possessionis, ossia il potere di fatto sulla cosa, e dell'animus possidendi, ossia la volontà di possedere il bene esercitando i poteri che spettano al proprietario o al titolare di un diritto reale.


Il detentore, invece, ha un potere di fatto sul bene, ma non si comporta come se ne fosse proprietario o titolare di altro diritto reale sulla cosa.

Ed è proprio in virtù della distinzione tra possesso e detenzione (diritto civile) che la Corte di Cassazione, confermando le valutazioni dei giudici di primo e secondo grado, ha negato che la donna avesse usucapito l'immobile.


Nella sentenza può leggersi, infatti, che la donna aveva avuto la disponibilità materiale dell'immobile prima in virtù del rapporto di coniugio e, dopo la fine del matrimonio, in virtù del provvedimento di assegnazione emesso in suo favore nel procedimento di separazione.
Tuttavia, non risultava provato che avesse esercitato il possesso sul bene.


Da quanto emerso nella causa, era chiaro che la donna avesse iniziato ad utilizzare l'immobile in virtù del rapporto di coniugio con il marito, il quale esercitava il possesso sulla casa, essendone comproprietario con il fratello. Ma nessun elemento portava ad affermare che la donna avesse esercitato un compossesso o un possesso in grado di escludere quello del marito.
Di conseguenza, secondo la Suprema Corte, la moglie non era altro che una detentrice dell'immobile, ai sensi dell'art.1140 del Codice Civile, che spiega che si può possedere anche per mezzo di un'altra persona, la quale ha la detenzione del bene.


E dopo la separazione? Nemmeno dopo la fine del matrimonio la ricorrente aveva posseduto la casa familiare?
Anche al riguardo, la risposta della Cassazione è negativa.


I giudici evidenziano, infatti, che i provvedimenti di assegnazione della casa coniugale, in fase di separazione e di divorzio, non erano tali da mutare la precedente detenzione in possesso.
Ed anzi, il fatto che la disponibilità materiale dell'immobile da parte della donna trovasse titolo in un provvedimento giudiziale, automaticamente escludeva la possibilità di usucapire la casa.
Ciò anche in virtù del consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo cui il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale riconosce all'assegnatario un atipico diritto personale di godimento.
Di conseguenza, la donna non poteva vantare alcun diritto di proprietà sull'immobile.


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