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Truffa aggravata ai danni dello Stato per il dipendente che ottiene la disoccupazione non dovuta

Truffa aggravata ai danni dello Stato per il dipendente che ottiene la disoccupazione non dovuta
Non è applicabile la non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. al dipendente che ottiene fraudolentemente l’indennità di disoccupazione.
La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 37892 depositata il 12 settembre 2019, si è occupata del caso di un soggetto che aveva posto in essere artifici e raggiri al fine di fare risultare all’INPS un rapporto di lavoro in realtà inesistente, ottenendo in tal modo un’ingiusta indennità di disoccupazione.
La ditta presso cui l’imputato avrebbe lavorato, infatti, non esisteva, e nessun valido rapporto di lavoro, che giustificasse la spettanza della somma, era mai stato instaurato.
La Corte di merito, più in particolare, ha innanzitutto operato una distinzione in merito alla qualificazione della fattispecie, asserendo come il caso in oggetto configuri ipotesi di truffa aggravata ai sensi del comma 2 dell’art. 640 del c.p., e non invece il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’articolo successivo. Non sussisterebbero, ad avviso dei giudici, nemmeno gli elementi per configurare la diversa ipotesi di reato di cui all’art. 316 ter del c.p. Diversi, infatti, sarebbero gli elementi posti alla base dei due delitti.
Più in particolare, come noto, il delitto di truffa aggravata è connotato dal dolo generico, per cui è sufficiente, ai fini dell’integrazione del reato, la consapevolezza della natura artificiosa della condotta tenuta dall’agente, che aveva sottoscritto la domanda conferendo mandato ad un patronato per la trasmissione della stessa, pur con la cognizione dell’assenza del diritto ad ottenere il beneficio.
Inoltre, i giudici si sono soffermati sulla possibilità, per vero già esclusa dalla Corte d’Appello, di applicare al caso di specie la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis del c.p..

La Cassazione, nello specifico, ha escluso l'applicabilità dell'art. 131 bis c.p. al caso di specie, sostenendo che la condotta ascritta all'imputato ha coinvolto interessi dello Stato in relazione ad una somma che non può essere quantificata come "modica", sicché, oltre al riferimento agli affari dello Stato, rileva anche l'apprezzamento circa la natura "non minimale" della somma indebitamente erogata da parte dell'INPS.

Ai fini dell'applicabilità della causa di non punibilità in questione, affermano conclusivamente gli ermellini, "il giudizio sulla tenuità dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133 comma 1 cod. pen.", indicando in particolare quelli ritenuti rilevanti per il caso di specie. Tale onere motivazione non è stato assolto dalla difesa dell'imputato, del quale è stata per questo motivo confermata la condanna.


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