In alternativa, è prevista, altresì, la possibilità di stipulare un contratto di locazione della durata di tre anni, con rinnovo automatico alla scadenza per altri due anni: alla scadenza dei cinque anni, poi, il contratto si rinnoverà automatica per un eguale periodo, salvo disdetta.
Indipendentemente dalla scadenza del contratto, comunque, il recesso è, in ogni caso, possibile nelle ipotesi che siano, eventualmente, previste dal contratto stesso (il quale può, pertanto, accordare al conduttore la possibilità di recedere dal contratto al verificarsi di determinate circostanze): si parla, in questo caso, di “recesso convenzionale”.
Se il contratto, invece, non dovesse prevedere alcuna ipotesi di recesso anticipato, lo stesso deve comunque ritenersi possibile in presenza di una “giusta causa”, vale a dire, di un grave motivo, sopravvenuto, imprevedibile e indipendente dalla volontà del conduttore, che renderebbe eccessivamente gravosa per il medesimo la prosecuzione della locazione.
Il problema che si pone, in quest’ultima ipotesi, è quello di stabilire cosa debba intendersi per “giusta causa” di recesso.
In proposito, la Corte di Cassazione, con una recente pronuncia è intervenuta in merito all’estensione del concetto di “grave motivo”, tale da giustificare il recesso anticipato dal contratto di locazione.
La Corte, in particolare, con la sentenza n. 6553 del 2016, ha preso in considerazione, in particolare, l’ipotesi del trasferimento per ragioni lavorative del conduttore, il quale, andando a lavorare in un’altra città, può avere interesse a sciogliere il contratto di locazione che abbia già stipulato.
Nel caso all’esame della Corte, il locatore dell’immobile era consapevole che il contratto di locazione era stato stipulato dal conduttore al fine di soddisfare le esigenze abitative dei figli che, essendo studenti universitari fuori sede, avevano deciso di trattenersi in città allo scopo di cercare un posto di lavoro.
La domanda di recesso anticipato aveva trovato origine, peraltro, proprio dal trasferimento, per ragioni lavorative di uno dei figli.
Ebbene, la Corte di Cassazione, nell’analizzare se il trasferimento per ragioni lavorative possa considerarsi giusta causa di recesso anticipato, osserva, in primo luogo, come “le ragioni che consentono al conduttore di liberarsi del vincolo contrattuale devono essere determinate da avvenimenti sopravvenuti alla costituzione del rapporto, estranei alla sua volontà ed imprevedibili, tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la sua prosecuzione”.
Tale gravosità, inoltre, “deve essere oggettiva e non meramente soggettiva, dal momento che la stessa non può risolversi ella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine alla convenienza o meno di continuare il rapporto locativo”.
In particolare, nell’ipotesi di locazione abitativa, tale gravosità non deve essere valutata solamente sotto il profilo economico ma tenendo in considerazione anche le esigenze di vita del conduttore, tra le quali, precisa la Corte, assume certamente notevole rilievo il trasferimento in altra città per ragioni di lavoro.
Ciò che non rileva, invece, ai fini della configurabilità della giusta causa di recesso, è la semplice “convenienza” del trasferimento, che non possa considerarsi propriamente “necessitato”.
In conclusione, quindi, al fine di valutare se il trasferimento per ragioni lavorative integri un’ipotesi di giusta causa di recesso anticipato dal contratto di locazione, occorrerà accertare, in primo luogo, se questo sia stato in qualche modo prevedibile da parte del conduttore. In secondo luogo, occorrerà verificare quanto margine di scelta abbia avuto il conduttore nella scelta di trasferirsi altrove e quanta distanza ci sia tra il vecchio e il nuovo posto di lavoro e se la stessa sia tale da rendere assolutamente necessario il trasferimento in altra abitazione.