La TARI - disciplinata dal D. Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 - rappresenta un incubo per milioni di cittadini già pesantemente messi in difficoltà dai rincari sulla spesa ma, allo stesso tempo, è un’entrata molto importante per le casse dei Comuni, in quanto destinata ad organizzare al meglio il servizio di raccolta dei rifiuti.
Essa si basa su un sistema di calcolo che prende in considerazione la superficie dell'immobile e il numero di persone che lo abitano. In pratica, si paga una tassa fissa legata alla grandezza della casa e al numero di residenti, senza tenere conto della quantità effettiva di rifiuti prodotti. La responsabilità della gestione e della determinazione delle tariffe TARI è affidata agli enti locali comunali. Sono questi ultimi a fissare le aliquote in base al costo complessivo del servizio di gestione rifiuti, e alla regolamentazione stabilita dalla normativa nazionale.
Il dubbio principale sollevato dai contribuenti riguarda il caso di immobili disabitati. Anche in questa circostanza la TARI va pagata?
Secondo la normativa vigente, la TARI è dovuta per il solo fatto di possedere o detenere locali potenzialmente in grado di produrre rifiuti, indipendentemente dall’effettivo utilizzo o dalla presenza di utenze attive.
La Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo di pagamento sussiste anche se l’immobile non è utilizzato, purché sia predisposto all’uso (Cass. sent. n. 21703/2022, n. 9872/2023). Questo significa che non è sufficiente non avere un contratto con la società fornitrice di luce, acqua o gas: affinché la TARI non sia dovuta, devono mancare le diramazioni per portare le utenze nell’immobile, o queste devono essere completamente chiuse. In pratica, se l’immobile è pronto per attivare le utenze con un semplice contratto, la tassa è dovuta. Al contrario, se sono necessarie opere strutturali per rendere l’immobile servibile, l’obbligo di pagamento non sussiste.
Ancora, per andare esenti dal pagamento della TARI, sarà necessario dimostrare che l’immobile in questione è diventato oggettivamente inutilizzabile e, in quanto tale, inidoneo a produrre rifiuti. Inidoneità che non deve essere presunta ma “riscontrabile in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o da idonea documentazione” (cfr. Cass. n. 1711/2017).
A titolo esemplificativo sono inidonei a produrre rifiuti, per loro intrinseca natura o per l’uso cui sono destinati, i seguenti immobili/locali:
Essa si basa su un sistema di calcolo che prende in considerazione la superficie dell'immobile e il numero di persone che lo abitano. In pratica, si paga una tassa fissa legata alla grandezza della casa e al numero di residenti, senza tenere conto della quantità effettiva di rifiuti prodotti. La responsabilità della gestione e della determinazione delle tariffe TARI è affidata agli enti locali comunali. Sono questi ultimi a fissare le aliquote in base al costo complessivo del servizio di gestione rifiuti, e alla regolamentazione stabilita dalla normativa nazionale.
Il dubbio principale sollevato dai contribuenti riguarda il caso di immobili disabitati. Anche in questa circostanza la TARI va pagata?
Secondo la normativa vigente, la TARI è dovuta per il solo fatto di possedere o detenere locali potenzialmente in grado di produrre rifiuti, indipendentemente dall’effettivo utilizzo o dalla presenza di utenze attive.
La Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo di pagamento sussiste anche se l’immobile non è utilizzato, purché sia predisposto all’uso (Cass. sent. n. 21703/2022, n. 9872/2023). Questo significa che non è sufficiente non avere un contratto con la società fornitrice di luce, acqua o gas: affinché la TARI non sia dovuta, devono mancare le diramazioni per portare le utenze nell’immobile, o queste devono essere completamente chiuse. In pratica, se l’immobile è pronto per attivare le utenze con un semplice contratto, la tassa è dovuta. Al contrario, se sono necessarie opere strutturali per rendere l’immobile servibile, l’obbligo di pagamento non sussiste.
Ancora, per andare esenti dal pagamento della TARI, sarà necessario dimostrare che l’immobile in questione è diventato oggettivamente inutilizzabile e, in quanto tale, inidoneo a produrre rifiuti. Inidoneità che non deve essere presunta ma “riscontrabile in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o da idonea documentazione” (cfr. Cass. n. 1711/2017).
A titolo esemplificativo sono inidonei a produrre rifiuti, per loro intrinseca natura o per l’uso cui sono destinati, i seguenti immobili/locali:
- i fabbricati oggettivamente inagibili e di fatto inutilizzati;
- i fabbricati oggetto di ristrutturazione, restauro o risanamento conservativo in presenza di regolare licenza, permesso, concessione o autorizzazione, limitatamente al periodo di validità del provvedimento e, comunque, non oltre la data di effettiva ultimazione dei lavori;
- locali stabilmente riservati ad impianti tecnologici ove non si abbia, di regola, presenza umana (quali cabine elettriche, vani ascensori, celle frigorifere, locali di essiccazione e stagionatura senza lavorazione, silos e simili);
- aree di impianti sportivi, siano essi aree scoperte o locali chiusi, dedicati alla pratica sportiva in senso stretto (rimangano invece oggetto di tassazione i servizi igienici, gli spogliatoi, gli uffici);
- edifici di esercizio pubblico del culto;
- aule adibite esclusivamente ad attività di catechismo.
Risultano, poi, escluse per legge dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, nonché le aree comuni condominiali di cui all’art. 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva, come androni, scale, ascensori, stenditoi o altri luoghi di passaggio o di utilizzo comune tra i condomini.
Bisogna, poi, aggiungere che in molti Comuni già si applica il regime TARIP. Di che si tratta?
La TARIP costituisce un’evoluzione della TARI e configura un regime equo, che premia chi produce meno rifiuti. Si calcola, infatti, in base al volume o peso effettivo dei rifiuti prodotti. Chi riduce la produzione di rifiuti - o differenzia meglio - paga di meno.
Essa si compone di due parti:
- quota fissa: determinata in base alla superficie dell’immobile;
- quota variabile: basata sul numero effettivo di svuotamenti dei rifiuti. Ogni utente ha una quantità minima di svuotamenti annuali ma, se si supera questo numero, si paga un sovrapprezzo per ogni svuotamento aggiuntivo.
Inoltre, il costo degli svuotamenti è determinato in base al peso dei rifiuti conferiti e monitorato tramite chip sui contenitori, che registrano ogni svuotamento. Ciò consente di calcolare in modo preciso l’importo effettivo da pagare.
Ne consegue che, per il proprietario dell'immobile disabitato e ubicato nel Comune che applica il regime TARIP, producendo meno rifiuti, sarà valido il principio di matrice europea "Pay As You Throw", ovvero pagherà per ciò che getta.
Secondo gli ultimi dati a disposizione, in Italia sarebbero almeno 872 i Comuni che applicano il sistema di tariffa puntuale, che corrispondono all’11% del totale delle amministrazioni comunali e al 10,8% della popolazione.
A detenere il primato per numero di Comuni è la Regione Veneto, dove sono passati a questo sistema 251 Comuni su un totale di 571, pari quasi al 44% del totale, con una popolazione di oltre 1,9 milioni di abitanti (il 39%). Seguono il Trentino Alto Adige e la Lombardia.