All'analisi circa il merito della pronuncia appare opportuno premettere una brevissima premessa di carattere fattuale.
Nel caso di specie, l'imputato veniva condannato in entrambe i giudizi di merito per aver rubato uno zaino posto all'interno di un furgone parcheggiato in una pubblica via. A propria discolpa, adduceva di aver sottratto esclusivamente un panino contenuto all'interno dello zaino e, contestualmente, di averlo mangiato, in quanto versava in serie condizioni di indigenza. Dopo la condanna ricevuta in primo grado e confermata in appello, l'imputato chiedeva alla Corte di Cassazione di censurare la mancata applicazione della scriminante dello stato di necessità. Tale censura veniva tuttavia disattesa dagli Ermellini i quali, nel dare continuità all'orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, affermavano come lo stato di indigenza non soddisfi i requisiti di attualità ed inevitabilità del pericolo richiesti dall'art. 54 c.p., posto che alle esigenze dei soggetti che versano in tale stato è possibile provvedere attraverso i molteplici istituti di assistenza sociale.
Alla luce delle premesse coordinate ermeneutiche, la lettura della Cassazione si fonda su un approccio metodologico del tutto assiomatico poichè pretende di risolvere un problema atavico facendo appello alla generica e inappagante "moderna organizzazione sociale". Il problema del rapporto tra lo stato di bisogno e i presupposti applicativi dello stato di necessità ha infatti radici molto antiche e di certo non può essere risolto in astratto, facendo riferimento a generiche presunzioni di evitabilità del pericolo prodotte dall'attuale sistema di welfare. L'analisi logica, prima che giuridica del requisito dell'inevitabilità del pericolo richiesto dall'art. 54 c.p., porta infatti a desumere che se certamente la scriminante in commento è esclusa quando la condotta alternativa praticabile in concreto dal soggetto agente garantisca identiche chances di salvezza per il bene in pericolo, così non è quando la condotta alternativa lecita appaia munita di un minor grado di efficacia rispetto all'obiettivo perseguito. Ciò accade proprio nelle ipotesi di "furto per fame" poichè se il ricorso alle organizzazioni assistenziali offrisse ad oggi una valida alternativa alla commissione dei reati, allora i fatti illeciti del tenore di quelli ad oggetto dell'analisi della Cassazione sarebbero irrisori. Tali istituti sociali, infatti, costituiscono uno strumento idoneo a superare solo medio tempore una situazione di disagio economico ma non permettono di ovviare a uno stato di bisogno permanente: a tale uopo, l'elevato numero di furto di generi alimentari rappresenta probabilmente la prova tangibile del fallimento di tali sistemi solidaristici.
Per l'effetto, la lettura dei rapporti tra stato di bisogno e stato di necessità che qui si propone rifugge da soluzioni stereotipate che negano per pura petizione di principio la sussistenza o l'insussistenza dell'evitabilità del pericolo. A tale uopo, per evitare cortocircuiti ermeneutici, la soluzione più corretta sarebbe quella di sganciare lo stato di bisogno dal pericolo attuale, involontario ed inevitabile di danno grave alla persona ex art. 54 c.p.. Segnatamente, mentre il primo requisito riguarda la generale condizione del reo, il secondo esige un accertamento incentrato sulle circostanze concrete in cui viene commesso l'illecito. In tal senso, l'accertamento del giudice non deve fossilizzarsi sulla possibilità generale ed astratta di evitare a monte situazioni di inedia prolungata, ma deve essere profusa a verificare, nel caso concreto, un pericolo qualificato ex art. 54 c.p.. Tale lettura, si precisa, non permette certamente di liberalizzare la reazione auto-conservativa nelle ipotesi di prolungate situazioni di disagio ma, prendendo atto delle inefficienze che tutt'ora affliggono il sistema assistenziale, impone maggiore cautela nel prospettare il ricorso allo stesso come alternativa legittima alla commissione di tali illeciti e più consapevolezza nell'accertamento circa l'idoneità della condotta alternativa a porre in salvo il bene della vita in questione.