La questione sottoposta all’esame dei giudici di legittimità ha avuto origine dal decreto con cui la Corte d’Appello di Brescia aveva rigettato il reclamo proposto da una donna avverso l’ordinanza emessa dal Presidente del Tribunale di Bergamo che, pronunciandosi, ai sensi del comma 3 dell’art. 708 del c.p.c., nel giudizio di separazione proposto dalla reclamante nei confronti del coniuge, aveva escluso l’obbligo di quest’ultimo di contribuire al mantenimento dei figli, nonché regolamentato le modalità di frequentazione tra padre e figli.
Avverso la decisione della Corte territoriale, la donna ricorreva in Cassazione, deducendo la violazione degli articoli 91 e 739 del c.p.c., censurando il decreto impugnato nella parte in cui l’aveva condannata al pagamento delle spese processuali.
Secondo la ricorrente, infatti, la Corte d’Appello non aveva tenuto conto del carattere non definitivo del provvedimento impugnato, con la conseguenza che il regolamento delle spese di giudizio avrebbe dovuto dipendere dal provvedimento definitivo, non dalle fasi intermedie del processo.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, giudicando fondati i motivi di doglianza proposti.
A tal fine gli Ermellini hanno evidenziato come parte della dottrina e della giurisprudenza abbia sottolineato la natura incidentale ed endoprocedimentale del reclamo, il quale costituisce una mera fase del procedimento di separazione e si conclude con un provvedimento destinato, anch’esso, a rimanere assorbito dalla sentenza pronunciata all’esito del giudizio. Altri, invece, hanno valorizzato la natura impugnatoria di tale rimedio, il quale si svolge dinanzi ad un giudice superiore e conduce ad un provvedimento che definisce il relativo procedimento.
Si è, peraltro, evidenziato come, in linea generale, i provvedimenti temporanei ed urgenti, di cui al comma 3 dell’art. 708 del c.p.c., mirino a regolare, per il tempo necessario allo svolgimento del giudizio di merito, quegli aspetti della vita della prole e dei coniugi che troveranno, poi, un assetto definitivo nella sentenza emessa a conclusione del giudizio, e ciò al fine di evitare che, per effetto della durata del processo, i componenti del nucleo familiare vedano pregiudicati i propri diritti.
Gli stessi giudici di legittimità hanno, inoltre, rilevato come l’introduzione, ad opera della l. n. 54/2006, del comma 3 dell’art. 708 del c.p.c., che consente di proporre reclamo contro i suddetti provvedimenti, abbia indotto ad accostare, seppur con le dovute differenze, la relativa disciplina a quella dei provvedimenti cautelari. Sul punto la Cassazione ha, peraltro, osservato come, nel caso di un provvedimento cautelare emesso in corso di causa, non vi sia la necessità di una pronuncia immediata sulle spese del relativo procedimento, il quale si innesta sul giudizio di merito come una fase incidentale e ne condivide, normalmente, la sorte, essendo il suo esito destinato a restare assorbito dalla pronuncia della sentenza definitiva, fatta eccezione per il caso in cui il giudizio principale si estingua.
Alla luce di ciò gli Ermellini hanno sottolineato come la natura provvisoria dei provvedimenti fatti oggetto del loro giudizio nel caso di specie, destinati ad essere assorbiti dalla decisione di merito, nonché il carattere necessariamente incidentale del procedimento volto alla loro adozione, non consentita ante causam, permettano di estendere anche ad essi le considerazioni svolte con riferimento ai procedimenti cautelari emessi in corso di causa, e ad escludere, quindi, la necessità di una distinta pronuncia sulle spese, anche in sede di reclamo. La regolamentazione di queste ultime deve, infatti, trovare spazio nella sentenza emessa alla conclusione del giudizio, la quale dovrà tenere conto, a tal fine, dell’esito complessivo della lite e delle modalità di svolgimento delle singole fasi della stessa.