Nel caso esaminato dalla Cassazione, con la sentenza sopra citata, il Tribunale di Lecce aveva condannato un imputato per il reato di “guida in stato di ebbrezza” (art. 186 Codice della Strada), sostituendo la pena inflitta con l’obbligo di svolgere, per 14 giorni, un lavoro di pubblica utilità.
Successivamente, tuttavia, il Tribunale aveva revocato tale misura, in quanto l’imputato non l’avrebbe rispettata.
L’imputato aveva, dunque, deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nel tentativo di ottenere l’annullamento del suindicato provvedimento di revoca.
Evidenziava il ricorrente, infatti, che, all’inizio, era stato disposto che egli svolgesse il lavoro di pubblica utilità nel Comune di Ostuni, ove all’epoca risiedeva.
Successivamente, il ricorrente si era trasferito a Napoli e aveva formulato istanza di svolgere l’attività nell’ambito di tale Comune.
In attesa di una risposta, tuttavia, in ricorrente era stato convocato innanzi al Tribunale di Lecce e all’esito di un’udienza si era visto revocare la misura.
Ebbene, secondo il ricorrente, la revoca era stata ingiusta, non avendo egli violato gli “obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, nè potendo essere rivolto a lui alcun addebito”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire ai rilievi svolti dall’imputato, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che il Tribunale aveva erroneamente “ritenuto concluso in modo negativo l'accertamento dell'avvenuta esecuzione della sanzione sostitutiva”, con la conseguenza che questi aveva, altrettanto erroneamente ripristinato la pena sostituita.
Rilevava la Cassazione, in proposito, che “la revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità può essere disposta soltanto in ipotesi di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro”, mentre deve considerarsi illegittimo “il provvedimento di revoca del beneficio al di fuori dell'ipotesi prevista dalla legge ed in assenza di comportamenti colpevoli ascrivibili all'interessato”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal condannato, annullando l’ordinanza impugnata e rinviando per un nuovo esame al Tribunale di Lecce.