Ebbene, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19767 del 2016, si è trovata proprio ad affrontare un caso di questo tipo, fornendo alcune interessanti indicazioni in proposito.
Nel caso esaminato dalla Corte, il Tribunale aveva condannato una donna per il reato di molestia, in quanto la stessa aveva telefonato e mandato SMS ripetutamente, anche in ora notturna al proprio partner.
Secondo il Giudice, infatti, “la frequenza ed il rilevantissimo numero di messaggi dal contenuto offensivo inviati” doveva “far ritenere sussistente, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la fattispecie contestata”.
La condannata proponeva, dunque, ricorso per Cassazione, il quale, veniva accolto, dal momento che la Corte non riteneva che, nel caso di specie, sussistessero le condizioni per poter parlare di molestia penalmente rilevante.
In particolare, secondo la Corte, “l'illiceità penale del fatto è subordinata alla petulanza o altro biasimevole motivo e alla volontà dell'agente di interferire inopportunamente nell'altrui sfera di libertà. La petulanza si sostanzia in un atteggiamento di insistenza fastidiosa, arrogante invadenza, intromissione inopportuna e continua; il biasimevole motivo, pur diverso dalla petulanza, è ugualmente riprovevole in se stesso o in relazione alla persona molestata. La sussistenza di detti presupposti va verificata in concreto con riferimento all'elemento costitutivo che connota la condotta del reo che deve essere, appunto, realizzata per petulanza o altro biasimevole motivo, condizione esclusa nel caso di reciprocità ovvero di ritorsione delle molestie (Sez. 1, n. 26303 del 06/05/2004, Pirastru)”.
Nel caso in esame, invece, secondo la Corte, il Tribunale aveva accertato che tra la condannata e la persona offesa sussisteva “una travagliata e burrascosa relazione sentimentale, che vi erano tra loro contrasti e litigi che, per quanto rappresentato dalla persona offesa, avvenivano essenzialmente a mezzo dei telefono”.
In altre parole, è vero che assillare continuamente il partner con telefonate e messaggi, magari ingiuriosi, può costituire minaccia, ma occorre valutare attentamente le circostanze del caso concreto, in quanto se le molestie sono reciproche, il reato dovrebbe dirsi escluso, così come è stato escluso dalla Corte nel caso esaminato.
Ai fini della configurabilità del reato, infatti, è necessario che vi siano gli elementi essenziali della “petulanza”, vale a dire un’insistenza fastidiosa e insopportabile, e il “biasimevole motivo”, ovvero la volontà del soggetto di interferire ingiustamente nella vita privata dell’altra persona.
Osserva, infatti, la Cassazione, come, “indipendentemente dalla contestualità delle reciproche telefonate e dei messaggi inviati, la accertata sussistenza di una relazione tra la ricorrente e la persona offesa caratterizzata proprio dai continui e costanti contatti telefonici con frequenti litigi esclude la petulanza e, soprattutto, la interferenza indebita nella sfera di libertà della persona offesa attraverso le telefonate e gli sms in contestazione”.
Conseguentemente, la Corte, come detto, ritiene che il Tribunale abbia errato nel condannare la donna in questione per il reato di molestia, dal momento che era stato accertato come tra la stessa e la persona offesa sussistesse una relazione sentimentale molto travagliata, caratterizzata da frequenti litigi, che avvenivano molto spesso proprio per telefono.
Pertanto, tali circostanze, secondo i Giudici, devono escludere la “petulanza”, richiesta ai fini della configurabilità del reato, nonché la “interferenza indebita” della donna nella vita privata della persona offesa.
La Corte, dunque, accoglie il ricorso, procedendo all’annullamento della sentenza impugnata.