È altrettanto noto che il legislatore del Codice Penale ha previsto per il reato in parola delle specifiche aggravanti al ricorrere delle quali i limiti edittali della pena prevista per il reato base (coincidente con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500) si innalzano: per la rapina aggravata, infatti, la pena è quella della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 2.000 a euro 4.000.
Tra queste circostanze aggravanti, in particolare, rientra quella del travisamento: qualora l’agente ponga in essere la condotta tipica della rapina a volto coperto, infatti, il disvalore del fatto da questi compiuto appare maggiore, essendo il travisamento idoneo a rendere più difficoltoso il riconoscimento del reato.
Tutto ciò premesso, può spostarsi l’attenzione all’attuale situazione di emergenza sanitaria da Covi-19 e alle connesse regole che impongono l’obbligo di utilizzo di dispositivi di protezione delle vie aeree, per chiedersi se commetta rapina semplice o rapina aggravata colui che ponga in essere la condotta descritta dall’art. 628 c.p. indossando una mascherina.
Ebbene, proprio a questo quesito ha di recente fornito risposta la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1712 del 17 gennaio 2022. La Suprema Corte, segnatamente, ha ritenuto che “deve rilevarsi che il travisamento medesimo risulta essere stato materialmente collegato alla commissione del delitto e comunque idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento dell’autore del fatto. La presenza di un evidente nesso di necessaria occasionalità con il fatto illecito contestato esclude la possibilità di ritenere tale condotta alla stregua di mero adempimento del dovere”.
Per la Corte, dunque, ai fini dell’integrazione dell’aggravante in esame è sufficiente accertare l’esistenza di un nesso di occasionalità tra l’utilizzo dello strumento di travisamento e il compimento della condotta tipica.
Il caso giunto all’attenzione della Corte, in particolare, riguardava un soggetto che condannato per rapina aggravata dal Tribunale di Latina prima e dalla Corte d’Appello poi.
Avverso la sentenza di secondo grado, dunque, l’imputato aveva proposto ricorso in Cassazione, dolendosi – per quanto qui pertinente – della violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante relativa al travisamento del volto, avvenuto con mascherina resa obbligatoria dalla normativa anti-Covid: secondo la tesi difensiva, infatti, un comportamento imposto dalla legge non potrebbe essere considerato aggravante del delitto.
La Cassazione, ritenendo tale motivo infondato e rigettando il ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ha espresso il principio di cui si è data notizia.