La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 4712 del 17 novembre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso sottoposto all’esame della Cassazione, un soggetto era stato condannato in secondo grado per rapina aggravata dall’uso di un’arma (art. 628 c.p.), con la conseguenza che questi aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo l’imputato, in particolare, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente l’aggravante dell’uso dell’arma, senza tenere in adeguata considerazione il fatto che le dichiarazioni rese da due testimoni sentiti in corso di causa, i quali avevano precisato che l’arma in questione era palesemente un’arma giocattolo, essendo la stessa “dotata di tappo rosso, ben visibile”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dall’imputato, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, in proposito, che, ai fini della sussistenza dell’aggravante dell’uso dell’arma, “ciò che conta è l'effetto intimidatorio che deriva sulla persona offesa dall'uso di un oggetto che abbia l'apparenza esteriore dell'arma”.
Evidenziava la Corte, infatti, che “tale effetto intimidatorio è dipendente non dall'effettiva potenzialità offensiva dell'oggetto adoperato, ma dal fatto che esso abbia una fattezza del tutto corrispondente a quella dell'arma vera e propria (come avviene quando l'arma giocattolo sia sprovvista di tappo rosso o quando questo sia reso non visibile), cosicché possa incutere il medesimo timore sulla persona offesa”.
Ebbene, nel caso di specie, secondo la Cassazione, il giudice d’appello avrebbe errato nel riconoscere la sussistenza dell’aggravante in questione, in quanto, dalle deposizioni testimoniali raccolte, era emerso chiaramente che l’arma “aveva un tappo rosso alla canna”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dall’imputato, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione relativa all’aggravante oggetto di contestazione.