Nel caso di specie, la Corte d’Appello adita, riformando parzialmente la sentenza emessa dal giudice di prime cure, rideterminava la quota della pensione di reversibilità spettante all’ex moglie divorziata, riducendola al 35%, e attribuendo, dunque, il restante 65% alla moglie superstite.
L’ex moglie, tuttavia, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo come la sentenza impugnata avesse errato nell’attribuire rilevanza ad un’asserita convivenza prematrimoniale tra il defunto e la seconda moglie, senza che tale circostanza, a parere della ricorrente, fosse stata dimostrata per mezzo di prove documentali.
La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso giudicandolo inammissibile.
Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello si è semplicemente attenuta ai principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, i quali riconoscono alla convivenza prematrimoniale una rilevanza autonoma in sede di determinazione delle quote di pensione di reversibilità spettanti ai singoli aventi diritto. Secondo un consolidato principio di diritto, infatti, “la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza “more uxorio” non una semplice valenza correttiva dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì in distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale” (Cass. Civ., n. 26358/2011).
Oltre a ciò, la Suprema Corte ha, altresì, evidenziato come si debba, in ogni caso, dare rilievo anche ad altri elementi di fatto, quali, in particolare, l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le rispettive condizioni economiche dei due aventi diritto, nonché la durata delle rispettive vite prematrimoniali, senza però mai confondere la durata della convivenza con quella del matrimonio che ne è seguito.