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Pensione di invalidità: rileva la sola riduzione della capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato

Pensione di invalidità: rileva la sola riduzione della capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato
Ai fini della concessione della pensione di invalidità si deve valutare la perdita della capacità di svolgere occupazioni confacenti alle attitudini del richiedente.
La Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9044/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in materia di pensione di invalidità, precisando quelli che sono i criteri di valutazione da utilizzare ai fini dell’accertamento della perdita della capacità lavorativa ai fini pensionistici.

La questione sottoposta al vaglio dei Giudici di legittimità era sorta in seguito al ricorso proposto da una lavoratrice, al fine di ottenere il riconoscimento della pensione di invalidità.
Tale istanza, tuttavia, veniva rigettata all’esito di entrambi i gradi del giudizio di merito. La Corte d’Appello, in particolare, dava atto del fatto che, all’esito della consulenza tecnica d’ufficio svolta nel giudizio di prime cure, fosse stata stimata una percentuale di invalidità pari al 57% e, in conseguenza di ciò, aveva ritenuto che non si potesse reputare integrato il requisito della riduzione di almeno un terzo della capacità di lavoro in occupazioni confacenti, come richiesto dall’art. 1 l. n. 222/1984. La stessa Corte territoriale rilevava, altresì, come, in appello, non fossero stati allegatielementi nuovi, né un aggravamento rispetto al quadro patologico esaminato dal consulente tecnico d’ufficio in primo grado, le cui valutazioni non erano, peraltro, state smentite dalla nuova certificazione prodotta dalla ricorrente.

Di fronte al rigetto della propria istanza anche all’esito del giudizio di secondo grado, la donna ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, in primo luogo, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1 della l. n. 222/1984 e degli articoli 24 e 111 della Costituzione. La ricorrente evidenziava, infatti, come il consulente tecnico d’ufficio, nominato in primo grado, avesse accertato la sussistenza di una percentuale di invalidità pari al 57% applicando, erroneamente, la formula di Balthazar, la quale è utilizzabile soltanto per procedere alla valutazione delle invalidità civili, non anche di quelle di cui alla l. n. 222/1984.

Con un secondo motivo di ricorso la donna deduceva, poi, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 149 delle disp. att. c.p.c., nonché, ancora, degli articoli 24 e 111 della Costituzione, evidenziando come, con apposita istanza depositata in seguito al deposito del ricorso in appello e prima della prima udienza di discussione, avesse chiesto di essere autorizzata alla produzione di nuova documentazione medica, ai sensi dell’art. 149 delle disp. att. c.p.c. La Corte territoriale, infatti, non solo non aveva esaminato in alcun modo detta documentazione, ma, anzi, aveva dato atto, nella propria pronuncia, della mancata allegazione e documentazione di nuove patologie o di aggravamenti rispetto allo stato clinico accertato nel giudizio di primo grado.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, giudicando fondati entrambi i motivi di doglianza proposti.

Nell’accogliere il primo motivo di ricorso, gli Ermellini hanno ribadito come la giurisprudenza di legittimità abbia già più volte stabilito che “in materia di invalidità pensionabile, la l. n. 222 del 1984 ha adottato come criterio di riferimento, non la riduzione della generica capacità lavorativa, secondo quanto previsto dalla L. 30 marzo 1971, n. 118 per i mutilati ed invalidi civili, bensì la riduzione della capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato, da ciò, l’inidoneità del parametro di valutazione dell’invalidità civile, costituito da un sistema di tabelle che individuano indici medi riferiti ad un’attività lavorativa generica, che possono essere presi in considerazione soltanto come semplice punto di partenza per un’indagine diretta ad accertare l’effettiva riduzione della capacità subita dall’assicurato in relazione all’attività svolta, a meno che nell’ambito di questa diversa valutazione non si dia espressa ragione dell’adeguamento del parametro all’oggetto specifico della diversa invalidità da valutare” (Cass. Civ., n. 11185/2019; Cass. Civ., n. 6362/2017; Cass. Civ., n. 4710/2016).

Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso, la Cassazione, concordemente a quanto ritenuto dalla ricorrente, ha evidenziato come i Giudici di merito non si siano attenuti a quanto disposto dall’art. 149 delle disp. att. c.p.c., il quale, nelle controversie in materia di assistenza e previdenza obbligatorie, comprese quelle concernenti domande di invalidità pensionabile, impone di prendere in considerazione e valutare anche l’aggravamento delle patologie e quindi la certificazione di data posteriore a quella esaminata nel corso delle indagini peritali, ricorrendo, se necessario, a nuove indagini tecniche o richiedendo chiarimenti al consulente (cfr. Cass. Civ., n. 32760/2018; Cass. Civ., n. 13114/2014).


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