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Pensione anticipata, aumentano i beneficiari dell'APE sociale, modificati i requisiti di accesso: sentenza Cassazione

Pensione anticipata, aumentano i beneficiari dell'APE sociale, modificati i requisiti di accesso: sentenza Cassazione
Scopriamo insieme perché si amplia la platea dei beneficiari dell'APE sociale
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 24950 depositata lo scorso 17 settembre, ha affermato il principio secondo cui "il diritto all’APE sociale, in applicazione dell’articolo 1, comma 179, legge n. 232 del 2016, richiede – tra gli altri requisiti uno stato di disoccupazione in capo al beneficiario, ma non postula che lo stesso abbia anche beneficiato dell’indennità di disoccupazione, prevedendo soltanto che, ove l’interessato abbia beneficiato della detta indennità, la stessa sia cessata".

Quali i fatti?

La vicenda alla lente della Suprema Corte ha riguardato una ex dipendente, che impugnava giudizialmente il provvedimento con cui l’INPS negava l’accesso alla misura dell’APE sociale, per non avere la stessa precedentemente beneficiato dell’indennità di disoccupazione. Il Tribunale adito dichiarava il diritto della lavoratrice all’APE sociale, ritenendo non necessario ex art. 1 L.232/2016 – oltre allo stato di disoccupazione, pacificamente ricorrente  –  l’aver beneficiato altresì di indennità di disoccupazione. La decisione veniva confermata anche dalla Corte di Appello.

L'APE sociale – sembra utile ricordare – è un'indennità erogata dall’INPS a determinate categorie di lavoratori, con l’obiettivo di accompagnarli al raggiungimento della pensione di vecchiaia. Tale misura previdenziale è prevista per le categorie di lavoratori individuate dalla legge e ritenute meritevoli di particolare tutela.

Più nel dettaglio, possono beneficiare dell’APE Sociale coloro che hanno compiuto, o compiranno entro il 31 dicembre, 63 anni e 5 mesi (anziché 67 anni come richiesto ai fini della pensione di vecchiaia) e che appartengono a una delle seguenti categorie di lavoratori iscritti all’INPS, inclusi quelli in gestione separata:
  • invalidi civili con almeno il 74% di invalidità;
  • lavoratori impiegati in attività gravose, per almeno 7 degli ultimi 10 anni o almeno 6 degli ultimi 7 anni in modo continuativo;
  • caregiver che assistono da almeno sei mesi il coniuge, una persona in unione civile o un parente di primo grado convivente con handicap grave ai sensi della Legge 104, oppure parenti di secondo grado conviventi se i genitori o il coniuge della persona disabile hanno superato i 70 anni, sono affetti da patologie invalidanti o sono deceduti o assenti;
  • disoccupati a causa di licenziamento, dimissioni per giusta causa, risoluzione consensuale nell'ambito di un licenziamento economico o fine di un contratto a termine, purché abbiano lavorato come dipendenti per almeno 18 mesi nei 36 mesi precedenti la fine del rapporto di lavoro e abbiano terminato di percepire l'indennità di disoccupazione da almeno tre mesi (Dis-Coll, Naspi).

Ed è proprio riguardo a quest’ultimo punto che la Corte di Cassazione, nella sentenza citata in premessa, ha chiarito che, ai fini del diritto all’APE, la "norma non prevede la condizione positiva della fruizione dell’indennità di disoccupazione, ma solo la condizione negativa della cessazione della fruizione della stessa".

E "del resto" – puntualizzano ancora i giudici –  "la norma richiama una contribuzione di 30 anni e dunque ammette implicitamente che i requisiti dell’APE sociale sono diversi da quelli della disoccupazione".

Piuttosto, il richiamo alla cessazione della fruizione dell’indennità di disoccupazione  – alla base dell’intervento previdenziale di sostegno –  evidenzia "uno stato di bisogno della persona, che evidentemente il legislatore ritiene meritevole della tutela e della protezione con la prestazione in discorso".

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