Negli ultimi tempi, i vari Governi nazionali hanno incoraggiato l’adesione a tali fondi da parte dei lavoratori, rafforzando il cosiddetto secondo pilastro del sistema previdenziale, ovvero quello della previdenza complementare.
Un esempio di tale sostegno consiste nella possibilità di beneficiare di detrazioni fiscali sui contributi versati ai fondi pensione. Ancora, rileva l’introduzione della RITA, un meccanismo che permette, a chi ha aderito a un piano previdenziale integrativo, di ritirarsi dal lavoro fino a 10 anni prima rispetto alla normale età pensionabile.
Nonostante ciò, i numeri restano inferiori alle aspettative: attualmente, gli iscritti a piani di previdenza integrativa sono circa 9,6 milioni, rappresentando solo il 36,9% dell’intera forza lavoro. Numeri quindi piuttosto bassi, nonostante la presenza di una modalità di adesione a costo zero ai fondi complementari, la quale permette di trasferire il Tfr maturato in un fondo pensione, invece di lasciarlo nella propria azienda. Tale opzione è spesso vantaggiosa, data la maggiore redditività dei fondi pensione, ma nonostante i vantaggi pochi lavoratori decidono di adottarla.
Pertanto, dopo le dichiarazioni del sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, che ha suggerito di introdurre l’obbligo di destinare una quota del Tfr (25%) a fondi previdenziali integrativi, il Ministero del Lavoro sta preparando novità significative che saranno inserite nella legge di Bilancio 2025.
Sebbene non sia previsto un obbligo diretto, come invece suggerito dal sottosegretario Durigon, la nuova legge proposta dal ministro Calderone sembra comunque orientarsi nella stessa direzione.
La modifica principale riguarda la gestione del Tfr maturato: attualmente, il Tfr viene trattenuto dall’azienda (o dal fondo di tesoreria Inps, se l’impresa ha più di 50 dipendenti), a meno che il lavoratore non decida di destinarlo a un fondo pensionistico. La proposta di legge ribalta questa procedura: se il dipendente non comunica la volontà di mantenere il Tfr presso l’azienda, le somme maturate verranno automaticamente trasferite a un fondo pensionistico. Il lavoratore avrà un periodo di sei mesi per esprimere la sua decisione: in assenza di comunicazioni, scatterà il silenzio assenso e il Tfr sarà utilizzato per finanziare una pensione integrativa, idonea a generare una rendita futura.
Secondo alcune indiscrezioni, queste modifiche dovrebbero essere introdotte con la legge di Bilancio del 2025, inserendosi nel pacchetto “pensioni” che, su iniziativa della Lega, potrebbe includere anche l’estensione della Quota 41 per tutti i lavoratori.
Sembra, inoltre, che la proposta del ministro Calderone abbia trovato il sostegno dell’intera maggioranza, dato che non comporta impatti sulle finanze pubbliche e riscuote consensi anche da parte dei sindacati.
Tuttavia, le associazioni dei datori di lavoro potrebbero opporsi, soprattutto quelle che rappresentano le piccole imprese, per le quali il Tfr trattenuto rappresenta una risorsa preziosa all’interno delle proprie finanze.
Per le aziende di maggiori dimensioni, invece, la normativa non comporterebbe cambiamenti significativi, poiché esse sono già soggette all’obbligo di versare le somme accumulate nel fondo apposito dell’Inps.