La vicenda aveva preso avvio dall’
opposizione agli atti esecutivi proposta da una donna nel corso di una procedura esecutiva immobiliare promossa nei suoi confronti da una società. L’opposizione era stata rigettata e l’opponente aveva così presentato
ricorso in Cassazione.
La
ricorrente aveva dedotto la
nullità della
notificazione sia dell’atto di
pignoramento che del
precetto, in quanto eseguiti, ai sensi dell’art.
140 c.p.c.,
presso un indirizzo in cui non aveva la residenza. La nullità, a detta della ricorrente, sarebbe derivata dal fatto che la sua
residenza anagrafica si fosse trovata altrove e che era stato dimostrato che, nel luogo dove erano stati notificati gli atti, lei non aveva alcuna residenza, nemmeno di fatto.
Alla luce delle prove acquisite, il
tribunale aveva ritenuto che gli accertamenti compiuti dall’
ufficiale giudiziario, il quale aveva riferito di aver reperito la porta dell’
abitazione e di aver effettuato gli adempimenti prescritti dall'art.
140 c.p.c., portavano a presumere che ivi fosse stabilita la
residenza effettiva (non quella anagrafica) della ricorrente. Tale
presunzione, secondo il tribunale, non era stata superata dalle prove contrarie offerte dalla destinataria delle notificazioni.
La Corte di Cassazione si è pronunciata con l’
ordinanza n. 9049/2020, rigettando il ricorso. La Suprema Corte ha osservato che già in passato la giurisprudenza aveva affermato che le risultanze anagrafiche e gli accertamenti compiuti dall’ufficiale giudiziario in merito alla
residenza effettiva (o anche
dimora o
domicilio) del destinatario della notificazione costituiscono una mera
presunzione, superabile con qualsiasi mezzo di prova e senza che sia necessario impugnare con querela di falso la relazione dell’ufficiale giudiziario.
In caso di contestazione, è al
giudice di
merito che compete di compiere tale accertamento, sulla base di un esame delle prove fornite dalle parti, ai fini della
pronuncia sulla validità ed efficacia della notificazione.
Ai fini della corretta determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario, invece, va attribuita esclusiva rilevanza al luogo dove questi di fatto dimori abitualmente, di conseguenza “le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento e, quindi, anche mediante presunzioni, e in relazione a ciò il relativo apprezzamento costituisce valutazione demandata al giudice di merito e sottratta al controllo di legittimità, ove adeguatamente motivata”.
Alla luce di ciò, la Suprema Corte ha ritenuto che la
decisione impugnata fosse conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità ed ha rigettato il ricorso.