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Niente multa se la dichiarazione di conformità dell’autovelox è posteriore

Niente multa se la dichiarazione di conformità dell’autovelox è posteriore
La multa è illegittima se la dichiarazione di conformità dell’autovelox è successiva al rilevamento della contravvenzione.
La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33164/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla legittimità di una multa per eccesso di velocità, con specifico riferimento al caso in cui la contravvenzione venga rilevata con un autovelox la cui dichiarazione di conformità sia successiva ai fatti.

La questione di diritto sottoposta agli Ermellini, era nata in seguito all’opposizione, proposta dal proprietario di un veicolo, avverso un verbale di contestazione con cui gli era stata comminata dalla Polizia Locale una sanzione amministrativa per eccesso di velocità, ai sensi del comma 9 dell’art. 142 del Codice della strada.
Tale opposizione, tuttavia, era stata rigettata sia dal Giudice di Pace che dal Tribunale, adito in grado d’appello. Secondo entrambi i giudici di merito, infatti, la sanzione era da ritenersi legittima in forza della dichiarazione di conformità dell’autovelox, presentata dalla Pubblica Amministrazione, nonostante la stessa riportasse una data successiva a quella in cui era stata rilevata l’infrazione.

Il proprietario del mezzo decideva, pertanto, di ricorrere dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, essenzialmente, come il Tribunale avesse violato svariate norme di legge ritenendo legittima la sanzione comminata, nonostante non fosse stata fornita alcuna prova in merito alla taratura e alla conformità, al momento dell’infrazione, dell’autovelox che l’aveva rilevata.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando con rinvio il provvedimento impugnato.
Nel prendere tale decisione, i giudici di legittimità hanno sottolineato, preliminarmente, come assuma una rilevanza fondamentale, in relazione al caso di specie, la sentenza n. 113/2015 della Corte Costituzionale. Con tale pronuncia, infatti, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 6 dell’art. 45 del Codice della strada, nella parte in cui “non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura”.

L’importanza di tale statuizione è da rinvenire, come evidenziato dagli Ermellini, nel fatto che, in seguito ad essa, affinché le sanzioni comminate siano legittime, gli apparecchi di rilevazione delle velocità devono essere periodicamente tarati e controllati al fine di accertarne il corretto funzionamento.
Da tale circostanza deriva che, come peraltro già più volte osservato dalla stessa Cassazione, qualora vengano sollevate delle contestazioni in ordine all’affidabilità dell’apparecchio, come avvenuto nel caso di specie, il giudice deve accertare, prima di tutto, se lo stesso sia stato o meno sottoposto alle verifiche di funzionalità e taratura richieste ex lege (cfr. Cass. Civ., 533/2018; Cass. Civ., n. 9645/2016). Ricadrà, poi, in capo alla Pubblica Amministrazione, l’onere di provare di aver sottoposto l’apparecchio in questione ai controlli necessari (cfr. Cass. Civ., n. 21267/2014).

Esaminando il caso di specie alla luce di tali precisazioni, la Suprema Corte non ha potuto non accogliere il ricorso, cassando la sentenza impugnata. Il Tribunale, infatti, aveva chiaramente errato nel giudicare legittima la sanzione comminata sulla base di una dichiarazione di conformità redatta in data successiva a quella del rilevamento dell’infrazione, in quanto la stessa non poteva chiaramente avere valore retroattivo.


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