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Il nesso di condominialità e azione risarcitoria

Il nesso di condominialità e azione risarcitoria
La Corte di Cassazione precisa i criteri di individuazione del nesso di condominialità tra edifici utile ai fini dell'individuazione della legittimazione passiva in caso di azione risarcitoria.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12641 del 17 giugno 2016, si è occupata di un interessante caso di risarcimento danni in ambito condominiale.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, un condomino aveva agito in giudizio nei confronti del condominio, sostenendo di essere il titolare di un bar i cui locali erano rimasti gravemente danneggiati a causa del crollo parziale della muratura di un edificio contiguo, ove erano in corso dei lavori di ristrutturazione.

In particolare, a seguito del crollo, i locali del bar erano stati dichiarati inagibili e, pertanto, chiusi al pubblico, con la conseguenza che il gestore del bar chiedeva il risarcimento dei danni subiti “scaturiti dal mancato utilizzo del locale commerciale, dal mancato guadagno, nonché dal danneggiamento degli arredi e delle strutture recentemente ristrutturate”.

Il condominio si costituiva in giudizio sostenendo come lo stesso non dovesse nemmeno partecipare al procedimento, dal momento che il crollo aveva interessato un altro edificio e un altro condominio. Non solo: secondo il condominio, il diritto azionato dal gestore del bar doveva considerarsi estinto per prescrizione, essendo decorsi più di cinque anni tra il crollo e la richiesta dei danni.

In primo grado, il Tribunale accoglieva le eccezioni sollevate dal condominio e la sentenza veniva confermata in sede di appello.

La Corte d’appello rilevava, infatti, come non fosse dimostrato che i due edifici in questione avessero dei beni o delle parti comuni, con la conseguenza che i due edifici non potevano essere considerati un unico condominio, indipendentemente dal fatto che fossero state unificate le due gestioni, poste sotto il controllo del medesimo amministratore.

Giunti al terzo grado di giudizio, il ricorrente lamentava, dinanzi la Corte di Cassazione, la falsa applicazione degli artt. 1117, 1123 e 1131 codice civile, sostenendo che i due edifici facevano parte di un unico condominio, essendo sussistenti degli “impianti comuni”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente.

Osservava la Cassazione, in proposito, che il “nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all’art. 1117 codice civile, è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purchè le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni”, come, appunto, le cose che sono indicate nell’art. 1117 c.c.: in quest’ultimo caso, in particolare, si parla di “condominio parziale”.

Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione rilevava che la Corte d’appello avesse adeguatamente argomentato in merito alla mancanza di elementi idonei a far ritenere che fosse sussistente tale “nesso di condominialità” tra i due edifici.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal gestore del bar, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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