Nel caso esaminato dal Tribunale, si procedeva nei confronti di alcuni soggetti, i quali avevano organizzato una festa paesana che prevedeva, tra le altre cose, “la rottura da parte dei fantini di pignatte di terracotta con all'interno dei piccioni vivi”.
I soggetti in questione, in particolare, “omettevano di attivarsi affinché non venisse recato pregiudizio agli animali, tanto che:
- gli asini, gravati dal peso dei fantini, venivano fatti procedere su strada asfaltata senza copertura di calzari sugli zoccoli, per cui mantenevano a stento l'equilibrio e venivano tirati con la forza attraverso delle funi;
- i piccioni venivano colpiti con numerose bastonate ed alcuni di essi perivano in conseguenza delle ferite riportate”.
Il Tribunale, pronunciandosi sulla fattispecie, evidenziava come dalle immagini prodotte in giudizio, risultasse evidente che “gli asini percorrevano una strada asfaltata privi di calzari coprizoccolo e ginocchiere”, che gli animali erano “cavalcati da fantini muniti di stivali” e che “il percorso non era delimitato in modo idoneo a tenere il pubblico a distanza”.
Peraltro, erano visibili “delle transenne distanti tra loro a cui era stato assicurato solo un nastro”.
Ebbene, secondo il Tribunale, tali accorgimenti erano stati “chiaramente insufficienti tanto che la folla degli spettatori ha invaso la sede stradale su cui erano presenti gli asinelli”.
Alla luce di tali considerazioni, il Giudice ritenevano sussistenti tutti gli elementi presupposti dall’art. 544 ter codice penale, risultando “comprovata l'integrazione della fattispecie ascritta agli imputati, ricorrendone tutti gli elementi sotto il profilo oggettivo e soggettivo”.
Infatti, secondo il Tribunale, non vi era dubbio che “gli imputati nella loro qualità di organizzatori hanno omesso di attivarsi affinché non fosse arrecato pregiudizio agli animali”.
In altri termini, veniva contestata una condotta omissiva agli imputati, i quali avrebbero dovuto procedere ad adottare delle misure che garantissero che gli animali coinvolti nella festa paesana (asini e piccioni) non subissero maltrattamenti e violenze.
Pertanto, il Tribunale, condannava gli imputati alla pena di sei mesi di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali.
Il Tribunale, invece, non riteneva, opportuno applicare l’aumento di pena previsto dal terzo comma dell’art. 544 ter codice penale, non sussistendo prova certa che dai fatti fosse derivata la morte degli animali (si ricorda, in proposito, che, tale disposizione prevede un aumento di pena della metà se dai fatti compiuti “deriva la morte dell’animale”).
Nel caso di specie, secondo il Giudice, non risultava adeguatamente provato che “il piccione rinvenuto a terra sia poi morto”, con la conseguenza che non poteva procedersi all’applicazione dell’aumento di pena in oggetto.