Nel caso esaminato dal Tribunale, una coppia convivente aveva avuto una figlia.
Successivamente, la relazione sentimentale era cessata e i genitori avevano deciso di continuare ad abitare entrambi presso l’immobile di cui erano comproprietari, destinandone la sala hobby ad abitazione di uno e i piani superiori ad abitazione dell’altro.
La madre, tuttavia, intraprendeva, poi, una relazione con un nuovo compagno e si trasferiva presso la casa di quest’ultimo, in un’altra città, portando con sé la figlia avuta dall’ex compagno.
L’ex compagno, dunque, si rivolgeva al Tribunale, al fine di ottenere l’affidamento condiviso della figlia, con collocamento della stessa presso di sé.
La madre si opponeva alla domanda proposta dal padre, osservando che il medesimo aveva un “carattere dispotico ed autoritario”, sia nei confronti della donna, sia nei confronti della figlia.
Secondo la madre, inoltre, “tale indole aggressiva si sarebbe tradotta in comportamenti violenti, in ingiurie, minacce e percosse che avevano indotto la resistente a sporgere denuncia ex art. 612 bis c.p., temendo per la propria incolumità”.
La madre, pertanto, chiedeva al Tribunale di rigettare la domanda proposta dal padre e di disporre l’affidamento esclusivo a sé della figlia.
Il Tribunale, nel decidere sulla questione, evidenziava che l’art. 316 cod. civ., “nel definire la responsabilità genitoriale ha espressamente previsto che siano i genitori a stabilire di comune accordo la residenza abituale dei figli minori; l’eventuale trasferimento del figlio a fronte del dissenso di uno dei due genitori può essere autorizzato (ovvero ratificato) solo qualora siano provati giustificati motivi che rendano tal evoluzione necessaria, dovendo in mancanza rigettare la richiesta al fine di preservare l’habitat del figlio inteso non solo come casa di abitazione, ma anche come rete di relazioni familiari, scolastiche ed amicali”.
In sostanza, dunque, i genitori devono stabilire di comune accordo la residenza abituale dei figli minorenni e l’eventuale trasferimento può ritenersi autorizzato solo se vi siano dei giustificati motivi che lo rendano necessario.
Nel caso di specie, secondo il Tribunale, la madre aveva “giustificato il repentino trasferimento, allegando presunte condotte aggressive e mobbizzanti del ricorrente, poste in essere anche in presenza della figlia minore, che avrebbero costretto la (…) ad allontanarsi da Roma al fine di far cessare tali condotte pregiudizievoli per l’equilibrio della figlia”.
Poiché, tuttavia, non era ancora stata accertata la veridicità delle affermazioni della madre, il Tribunale riteneva che non vi fossero “elementi sufficienti a rendere giustificata la condotta della madre di improvviso trasferimento della residenza della figlia”.
Anzi, dagli accertamenti tecnici effettuati, erano “emerse le buone competenze genitoriali e il positivo rapporto della minore con entrambi i genitori”.
Il Tribunale riteneva, comunque, opportuno, che la situazione famigliare venisse adeguatamente controllata dai servizi sociali, che avrebbero dovuto segnalare al Tribunale ogni condotta dannosa per la minore.
In conclusione, il Tribunale affidava la minore ad entrambi i genitori, fissandone la residenza abituale presso la madre, la quale, tuttavia, aveva infine acconsentito a trasferirsi nella stessa città del padre (seppur in un’altra casa).