L’argomento è saltato all’attenzione di molti dopo la particolare vicenda che ha coinvolto una dipendente di una compagnia assicurativa multinazionale in Australia: nel febbraio 2023, la consulente è stata licenziata mentre era in smart working perché, attraverso un particolare software di battitura, l’azienda ha scoperto che la donna aveva uno scarso rendimento, non scrivendo abbastanza nell’orario di lavoro e non rispettando le scadenze e i carichi lavorativi.
Secondo il Tribunale nazionale australiano per le relazioni sul posto di lavoro (Fair Work Commission, FWC), prima del licenziamento, la dipendente era stata avvertita nel novembre 2022 ed era stata sottoposta ad un programma di “miglioramento”.
Tuttavia, l’attività lavorativa della donna era stata analizzata, con uno specifico software, in 49 giorni di lavoro (tra ottobre e dicembre): l’azienda ha conteggiato l’attività di battitura della donna, scoprendo la frequenza con cui ella premeva i tasti sul proprio computer. È emerso che la consulente aveva basso rendimento: su 49 giorni esaminati, per 47 giorni ha iniziato a lavorare in ritardo; inoltre, non ha osservato l’orario di lavoro stabilito, finendo i suoi turni prima e svolgendo zero ore di lavoro per un totale di quattro giorni.
La donna, a sua difesa, ha sostenuto che frequentemente ha usato altri strumenti per accedere alla piattaforma di lavoro quando, con il suo computer, riscontrava problemi di sistema.
La vicenda ci porta ai nostri questi.
Innanzitutto, il datore può controllare la produttività di un lavoratore in smart working, come ha fatto la compagnia assicurativa australiana?
In Italia, il datore di lavoro può controllare l’attività lavorativa dei propri dipendenti, anche se questi lavorano in smart working. Tuttavia, le verifiche del datore devono svolgersi nel rispetto dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300 del 1970) e della privacy dei dipendenti.
Quindi, ci sono delle limitazioni. In primo luogo, i sistemi di controllo a distanza (ad esempio, come il software di battitura nel caso visto) possono essere utilizzati solo per specifici motivi: per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza sul lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale.
Inoltre, l’installazione dei sistemi di controllo a distanza può avvenire solo se c’è un precedente accordo sindacale e purché i dipendenti siano adeguatamente informati: nello specifico, seguendo le indicazioni del Garante della Privacy, è necessaria un’informativa che sia «adeguata, specifica e trasparente» circa l’utilizzo dei sistemi di controllo e la modalità e lo scopo del monitoraggio. Tutto ciò sempre nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali del lavoratore.
Lo scarso rendimento del dipendente può essere motivo di licenziamento?
La risposta è sì. Tra i doveri per il lavoratore c’è il rendimento: secondo la Cassazione, nel rapporto di lavoro subordinato, il dipendente è tenuto ad eseguire la prestazione di lavoro con la diligenza e la professionalità media richiesta dalle attività svolte.
Se c’è uno scarso rendimento del lavoratore, il datore può procedere al licenziamento per giustificato motivo soggettivo (poiché c’è un notevole inadempimento, da parte del dipendente, degli obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di lavoro).
Però, in concreto, quando il datore può licenziare per scarso rendimento?
Fermo restando che il lavoratore non è obbligato al raggiungimento di un risultato prefissato dal datore e il mancato raggiungimento di questo non costituisce, di per sé, inadempimento e causa di licenziamento, ciò è possibile quando emerge una forte sproporzione tra le attività dei dipendenti: per la Suprema Corte, c’è lo scarso rendimento se, rispetto alla durata media impiegata per compiere le attività, la prestazione ha tempi più estesi del 50%.