Brocardi.it - L'avvocato in un click! REDAZIONE

Licenziamento per critiche al datore di lavoro, ecco quando la critica è un tuo diritto e quando non lo è: la Cassazione

Lavoro - -
Licenziamento per critiche al datore di lavoro, ecco quando la critica è un tuo diritto e quando non lo è: la Cassazione
In questo articolo il focus della riflessione ruota intorno alla questione dell’ equilibrio tra il diritto del lavoratore alla critica e la necessità di evitare la diffamazione e l’ingiuria nei confronti dell’azienda e dei suoi rappresentanti
La libertà di espressione viene definita dalla Corte Costituzionale “pietra angolare dell’ordine democratico”, in quanto un ordinamento non può funzionare democraticamente, in mancanza di una libera circolazione di idee politiche, sociali, religiose, sulla morale e sul costume. Nel nostro ordinamento la libertà di esprimere il proprio pensiero viene tutelata e garantita dall’art. 21 Cost. e rappresenta uno dei cardini del sistema repubblicano. Tuttavia, la libertà in oggetto può entrare in conflitto con altri interessi costituzionalmente garantiti e, in tal caso, si rende necessario il contemperamento - affidato sia al legislatore che alla Corte Costituzionale - finalizzato a stabilire quale, tra gli interessi in gioco, debba ritenersi prevalente, in quanto risulta assente un criterio di gerarchia tra i valori stessi ricavabile dalla Costituzione.

Nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero s'inserisce, in particolare, il diritto del lavoratore alla critica, diritto quest'ultimo garantito:
• dal citato art. 21 della Costituzione, secondo cui: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione …”;
• dall'art. 10 della CEDU, a mente del quale “Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera …”;
• dall’art. 1 dello Statuto dei Lavoratori – rubricato “Libertà di opinione” – che afferma: “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge.

Ma qual è l’orientamento della giurisprudenza?
La Suprema Corte, nel definirne i limiti, ha affermato che il diritto di critica deve ritenersi legittimo se esercitato nel rispetto della continenza formale e sostanziale. In particolare, secondo la Cassazione, per non cadere nell’illegittimità dell’esercizio di tale diritto, è necessario che, da un punto di vista sostanziale, i fatti narrati dal lavoratore siano sempre rispondenti al criterio della veridicità, mentre, da un punto di vista meramente formale, l’esposizione avvenga senza mai travalicare i parametri della correttezza, del decoro e della pertinenza espressiva (cfr. Cass. sent. n. 17784/2022).
In particolare, per la giurisprudenza di merito, il limite della pertinenza risulta rispettato laddove la critica risponda ad un interesse meritevole che, nel rapporto di lavoro, è individuato nelle condizioni dello svolgimento della prestazione e nelle dinamiche dell’impresa (Trib. Ancona sent. n. 175/2021).

Da ultimo la Corte di cassazione - ordinanza 18 dicembre 2024, n. 33074 – ha affrontato la questione del licenziamento intimato ad un lavoratore, membro del Comitato Tecnico ANPAC, al quale la società datrice di lavoro aveva contestato di aver rilasciato, tramite una lista di distribuzione informatica, dichiarazioni in aperto contrasto con il vincolo fiduciario, gravemente lesive dell'immagine aziendale. Ebbene, ad avviso della Suprema Corte, l'azione di critica contestata dalla società datrice non costituisce giusta causa di licenziamento, in quanto il contesto dell’esternazione riferita al lavoratore era limitato ad un determinato gruppo di persone e non ad una moltitudine indeterminata.

Diversamente, in precedente occasione - ordinanza 22 dicembre 2023, n. 35922 - la Cassazione ha ritenuto, invece, legittimo il licenziamento del dipendente per aver pubblicato sulla bacheca di un Social Network alcuni commenti gravemente lesivi dell’immagine e del prestigio dell’azienda e dell’onorabilità di persone legate ad essa. Le affermazioni del lavoratore suggerivano, nella fattispecie, un clima torbido all’interno dell’azienda, con accenni a minacce e pressioni. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Giudice di primo grado, sostenendo la validità della giusta causa del licenziamento. Pur riconoscendo il diritto di critica del lavoratore, la Corte ha sottolineato che tale diritto non consente al dipendente di ledere l’immagine del datore di lavoro facendo riferimento a fatti non oggettivamente certi e comprovati.

Pertanto, sebbene il lavoratore sia garantito dagli artt. 21 e 39 della Costituzione, il diritto di critica deve bilanciarsi con il rispetto dei diritti e delle libertà altrui e la tutela della persona umana, garantita dall’art. 2 della Costituzione. L’uso di espressioni “intrise di assai sgradevole volgarità”, senza una seria finalità divulgativa e finalizzate unicamente a ledere il decoro e la reputazione dell’azienda e del suo fondatore, è un comportamento che supera i limiti della correttezza formale.

In definitiva, per la giurisprudenza di legittimità, la critica avanzata da un lavoratore nei confronti del proprio datore sfocia in un illecito disciplinare laddove non rispetti i requisiti della verità, continenza e pertinenza.

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.