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Legge 104, nessun abuso dei permessi 104 in questi casi, rischia invece chi prova a licenziarti: ecco tutti i dettagli

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Legge 104, nessun abuso dei permessi 104 in questi casi, rischia invece chi prova a licenziarti: ecco tutti i dettagli
In quali ipotesi non scatta l’abuso dei permessi con Legge 104 e non può esserci licenziamento? Attenzione alle conseguenze per il datore di lavoro
La Legge 104 prevede agevolazioni a favore dei disabili e dei familiari che li assistono. Tra questi benefici rientrano i cc.dd. permessi 104: ossia, permessi retribuiti che consentono di astenersi dal lavoro per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità.

L’abuso dei permessi della Legge 104 può legittimare il licenziamento del dipendente da parte del datore di lavoro.

Quando si parla di “abuso”, si fa riferimento a un utilizzo improprio del beneficio.

Però, ci sono casi in cui non c’è l’abuso e, quindi, il datore di lavoro non può licenziare.

L’argomento è molto interessante poiché, se un licenziamento viene considerato illegittimo (perché manca la giusta causa o il giustificato motivo), ci sono conseguenze per il datore di lavoro.

Il tema è stato affrontato dalla Sezione Lavoro del Tribunale di Ascoli Piceno con la sentenza n. 311 del 2023, la quale ha precisato quando la condotta del lavoratore possa considerarsi lecita e quando, al contrario, illecita e soggetta a sanzioni (come, appunto, il licenziamento).

La vicenda esaminata dal Tribunale riguardava una dipendente a cui veniva contestato, nella lettera di licenziamento, un utilizzo improprio dei permessi 104 per essersi dedicata all’assistenza della madre disabile solo per pochissime ore nei giorni oggetto di permesso.

Dunque, in quali situazioni non scatta l’abuso dei permessi con Legge 104?
 
In generale, come precisato dal comma 3 dell’art. 33 della legge 104, si ha diritto a usufruire dei permessi retribuiti per assistere un congiunto con disabilità grave, che non sia ricoverato a tempo pieno.
 
Quindi, in quali casi non si può parlare di abuso?
 
Secondo il Tribunale, i tempi e i modi dell’assistenza, che legittimano il permesso retribuito (e, quindi, l’assenza dal lavoro), devono essere individuati alla luce della finalità per cui tale beneficio viene riconosciuto: ossia, la tutela delle persone disabili.
 
Infatti, il comma 3 dell’art. 33 della Legge 104 non pone un collegamento di tipo strettamente temporale tra la fruizione del permesso e la prestazione di assistenza: ossia, l’uso di questi permessi non deve avvenire durante l’intero orario di lavoro, ma almeno durante l’arco della giornata (in questo senso, anche Cass., ord. n. 7306 del 2023).  
 
In realtà, la normativa pone un collegamento di tipo funzionale tra il godimento del permesso e le necessità e i doveri che caratterizzano l’attività di assistenza delle persone disabili in situazione di gravità.
 
Peraltro, il Tribunale ha evidenziato come l’assistenza debba essere valutata in modo flessibile: cioè, l’esistenza di un diretto nesso causale tra la fruizione del permesso e l’assistenza al disabile è da intendere come chiara e inequivoca funzionalizzazione del tempo - liberato dall’obbligo lavorativo - alla preminente soddisfazione dei bisogni del disabile.
 
In tal modo, si possono considerare anche i bisogni personali e familiari del lavoratore, nonché l’integrità del suo equilibrio psico-fisico (in osservanza dei principi costituzionali della tutela della salute e di solidarietà familiare).
 
In sintesi, l’abuso c’è quando manca completamente un nesso causale tra l’assenza dal lavoro e l’assistenza al disabile.  
 
Nel caso analizzato dal Tribunale di Ascoli Piceno, la lavoratrice non godeva dei permessi per esigenze del tutto opposte rispetto all’assistenza della madre disabile e, comunque, svolgeva compiti che costituivano un’utilità per la persona disabile.
 
Quali sono le conseguenze per il datore quando il licenziamento è ritenuto illegittimo?
 
In questo caso, il rapporto di lavoro va dichiarato estinto con effetto dalla data del licenziamento e il lavoratore non viene reintegrato, ma il datore dovrà essere condannato al pagamento di un’indennità risarcitoria.
 
Il Tribunale ha anche precisato che questa indennità, calcolata su vari fattori (come, ad esempio, la dimensione dell’azienda e l’anzianità di servizio del dipendente), si può equamente determinare in sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.


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