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Lavoratori, ecco cosa devi fare se l'azienda ti impone di restare in ufficio durante la pausa pranzo: tutte le soluzioni

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Lavoratori, ecco cosa devi fare se l'azienda ti impone di restare in ufficio durante la pausa pranzo: tutte le soluzioni
Nell'orario della pausa pranzo, l'azienda può limitare o comprimere il diritto del dipendente ad uscire dai locali aziendali per consumare il pasto altrove? Facciamo chiarezza su una questione che ricorre frequentemente tra i lavoratori
Come è noto, se - per le ridotte dimensioni del luogo di lavoro o per esigenze organizzative - le aziende non dispongono di un servizio mensa interno, solitamente - e sulla scorta di quanto previsto dal Ccnl di riferimento, dagli accordi aziendali e dalle politiche interne dell'azienda - assicurano i buoni pasto ai loro dipendenti. Tali buoni consistono in una forma di welfare aziendale, perché costituiscono un beneficio non monetario (fringe benefit) che contribuisce al benessere del personale e garantisce il pasto nell'ambito dell'orario di lavoro.

Ebbene, su questi temi una specifica domanda potrebbe sorgere spontanea tra i lavoratori: in presenza di una mensa interna, l'azienda ha il potere di impedire ai suoi dipendenti di uscire durante la pausa pranzo, per consumare il pasto altrove? Impedire ad un lavoratore di mangiare liberamente in un'esercizio per la ristorazione potrebbe apparire come una ingiustificata compressione della sua libertà, andando a condizionare l'utilizzo del suo tempo libero durante la pausa di lavoro. E, a ben vedere, sia il legislatore che la giurisprudenza in materia non consentono questa possibilità al datore di lavoro.

Il motivo è del tutto logico: l'azienda, infatti, non può disporre anche del tempo non retribuito del suo dipendente. Non c'è alcuna regola di legge che attribuisca al datore di lavoro il potere di imporre di restare in ufficio durante l'orario di pranzo, né tantomeno di usufruire obbligatoriamente del servizio di mensa aziendale. Anzi, una tale imposizione violerebbe il diritto alla libertà personale del lavoratore, tutelata dall'art. 13 Cost..

In particolare, secondo l'art. 8, comma 1 del D.Lgs. 66/2003, "qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo".

Durante tale pausa il dipendente può scegliere liberamente come e dove trascorrere il tempo, purché rispetti i tempi concordati. La pausa pranzo non è considerabile, infatti, tempo lavorativo e, perciò, il lavoratore è libero di lasciare l'azienda e decidere dove e come consumare il pasto, senza utilizzare la mensa aziendale. Il suo diritto è intangibile e non può essere compresso o limitato da un'imposizione aziendale che indichi dove mangiare e, anzi, il dipendente sarà totalmente libero di portare il proprio pasto da casa o di consumarlo in un esercizio per la ristorazione.

Non solo. Come sopra accennato, c'è una linea giurisprudenziale netta in materia. Basti pensare, ad esempio, alla sentenza n. 9 del 2022, emessa dalla Corte d’Appello di Milano, secondo cui il diritto alla pausa pranzo deve essere esercitato nell'osservanza della disciplina del Ccnl di riferimento, senza alcuna limitazione e - si legge nel provvedimento - "senza alcun obbligo in capo al lavoratore di farsi carico, durante tale periodo, delle ordinarie esigenze di lavoro".

Solo in casi eccezionali l'azienda potrà imporre al dipendente di restare nei locali aziendali. Basti pensare alle esigenze organizzative straordinarie, ossia a situazioni temporanee e impreviste che richiedano la presenza del personale (ad es. guasti critici o emergenze aziendali).

Concludendo, qualora un dipendente si trovi ad essere trattenuto in azienda durante l'orario della pausa pranzo, potrà tutelarsi tramite la rappresentanza sindacale aziendale e segnalando l'irregolarità all'Ispettorato del lavoro. Sarà altresì possibile richiedere il pagamento delle ore in cui, di fatto, è rimasto a disposizione dell'azienda e agire giudizialmente per il risarcimento del danno alla salute e per far accertare lo straining da parte dell'azienda.

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