Si evidenziava in particolare che, anche sulla base dello “schizzo planimetrico” elaborato dai carabinieri, la vittima, subito dopo l’impatto con il ciclomotore, era stata “agganciata” e trascinata per 9,50 metri; dato questo realisticamente in contrasto con la presunta andatura moderata dell’investitore cui si era fatto riferimento nel giudizio. Ancora, se l’investitore avesse prudentemente condotto il proprio mezzo, avrebbe ragionevolmente e, provvidenzialmente, visto il pedone, il quale, secondo i dati emersi, si sarebbe trovato all’imbocco di una curva. Elementi fattuali, questi, di cui il Giudice del merito non avrebbe tenuto conto.
Si deduceva, inoltre, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2054, comma 1, del Codice Civile, in relazione all’art. 360, co.1, n.3), c.p.c. Si sosteneva che, nonostante il difetto in giudizio della dimostrazione circa il superamento della presunzione di responsabilità da parte del conducente, nel provvedimento impugnato era apparso del tutto manchevole il motivo per cui tale soggetto era giudicato privo di qualsivoglia responsabilità. Ciò alla luce della citata norma di cui all’art. 2054 c.c., secondo cui deve essere il conducente a dimostrare di aver compiuto quanto in suo potere al fine di evitare il sinistro.
La Corte di Cassazione ha ritenuto tali doglianze fondate.
È, dunque, di per sé irrilevante che la condotta del pedone potesse apparire “anomala”, dovendo quest’ultima essere ritenuta imprevedibile soltanto alla luce della condotta diligente e delle cautele tenute dal conducente.
Sulla base di tale impostazione, la responsabilità del conducente andrebbe esclusa allorquando sia fornita prova della effettiva impossibilità di prevenire, od evitare, il fatto dannoso. Ciò stante l’oggettiva impossibilità per il conducente di avvistare il pedone e/o di osservare i suoi movimenti in modo tempestivo (Cass. n. 4551/2017). La Corte territoriale aveva, tuttavia, ritenuto imprevedibile tanto l’avvistamento del pedone (perché potesse essere evitato), quanto la sua presenza “in quel contesto”, nulla avendo accertato in ordine alla diligenza della condotta del conducente.
Era, dunque, difettata la dimostrazione circa l’adozione di ogni cautela concretamente esigibile.
Ha rilevato il Supremo Consesso, inoltre, l’assenza di valutazioni sulla circostanza del trascinamento della vittima, potenziale indice di una velocità superiore a quella consentita nel caso concreto. Non da ultimo, avrebbe dovuto essere oggetto di attento vaglio “[…] da un lato, il fatto che l’incidente è avvenuto in una strada urbana, nella quale necessariamente è doveroso ipotizzare la possibile presenza di pedoni; dall’altro, che il conducente di un mezzo, sia esso motociclo o motoveicolo, è tenuto comunque a mantenere una velocità che gli consenta, anche in rapporto all’illuminazione esistente, di arrestare il mezzo in un tempo utile ad evitare un incidente […]”.
La Corte ha, dunque, ritenuto non corretto, alla luce degli insegnamenti di legittimità citati, l’approccio risolutivo del Giudice del merito.