Nel caso esaminato dal Tribunale, i figli e la moglie di un ciclista deceduto a seguito di sinistro stradale avevano agito in giudizio nei confronti del conducente dell’auto che aveva travolto l’uomo, nonché della relativa compagnia assicurativa, al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito dell’incidente in cui il congiunto aveva perso la vita.
Nello specifico, la vittima, al momento del sinistro, stava percorrendo una strada in bicicletta ed era stato travolto dall’auto condotta dal soggetto convenuto in giudizio, urtando violentemente contro il cofano e il parabrezza della macchina e venendo sbalzato sul ciglio sinistro della strada.
A causa dell’impatto, l’uomo riportava gravi traumi e perdeva la vita dopo poco più di due settimane.
Poiché, dunque, secondo i prossimi congiunti della vittima, il sinistro era da ricondurre integralmente alla responsabilità del conducente dell’autovettura, il medesimo avrebbe dovuto essere condannato al risarcimento del danno.
La compagnia assicurativa si costituiva in giudizio contestando la domanda proposta dagli attori ed evidenziando che ai medesimi era già stato versato l’indennizzo dovuto.
Osservava l’assicurazione, inoltre, che l’evento dannoso doveva essere addebitato all’esclusiva responsabilità del ciclista e che, comunque, la quantificazione dei danni subiti era eccessiva.
Il Tribunale, nel pronunciarsi nel merito della questione, osservava che, al fine di individuare il responsabile del sinistro, era fondamentale considerare il fatto che , dai rilievi effettuati dalla Polizia e dalle testimonianze assunte, era emerso che, al momento dell’urto la bicicletta “aveva già abbondantemente impegnato il tratto di strada in cui stava sopraggiungendo l’automobile del convenuto, si trovava in prossimità della parte mediana della strada e, dunque, aveva ormai quasi terminato la propria manovra di svolta”.
Di conseguenza, era evidente, secondo il Giudice, che il conducente dell’autovettura, o era stato talmente distratto da non accorgersi della bicicletta in fase di svolta avanzata, o andava talmente veloce “da non riuscire nemmeno ad accennare una manovra di emergenza”.
Ad ogni modo, secondo il Tribunale, la negligenza dell’automobilista era certa ed era confermata anche dal fatto che la carreggiata, nel punto in cui era avvenuto il sinistro, era “assolutamente rettilinea”.
Di conseguenza, secondo il Giudice, “una condotta di guida più accorta avrebbe di certo consentito un più tempestivo avvistamento del ciclista”.
Ad ogni modo, il Tribunale osservava che anche la condotta di guida del ciclista aveva inciso nella determinazione dell’evento dannoso, dal momento che questi “stava effettuando una manovra che, data l’assenza di intersezioni sul lato sinistro della strada, con tutta probabilità consisteva in una ‘inversione ad U’”.
Precisava il Tribunale, infatti, che sebbene tale manovra fosse “in quel caso astrattamente consentita dal Codice della Strada, per via dell’assenza di una linea di mezzeria continua, questa doveva in ogni caso essere effettuata rispettando il dettato dell’art. 154 c.d.s., che impone al conducente di ‘a) assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di essi; b) segnalare con sufficiente anticipo la loro intenzione’”.
Poiché, invece, i testimoni sentiti sull’argomento avevano precisato di non aver visto fare alcuna manovra nè al ciclista, né all’automobilista, il Giudice riteneva ragionevole presumere che “il ciclista non avesse opportunamente segnalato, in modo tempestivo ed evidente, la propria intenzione di svoltare a sinistra”.
Ciò considerato, il Tribunale concludeva di dover “determinare nella misura, rispettivamente, del 60% e del 40% l’incidenza causale delle condotte di guida” del ciclista deceduto e dell’automobilista nella determinazione dell’evento dannoso, provvedendo alla relativa nuova quantificazione del danno.