La legge tutela chiunque subisca violenze psicologiche e fisiche in ambito domestico. Il reato di maltrattamenti in famiglia - contemplato dall'art. 572 del codice penale - si configura, infatti, in presenza di comportamenti abituali che offendono la dignità e l’integrità della vittima, indipendentemente dal genere.
La vicenda
La Corte d’Appello, capovolgendo la sentenza del tribunale, aveva assolto una donna per insussistenza del fatto con riferimento all’imputazione per il delitto di maltrattamenti, perpetrato ai danni del proprio marito, con l’aggravante di aver commesso il fatto in presenza del figlio minorenne. Il tribunale aveva, invece, condannato la donna a due anni e sei mesi di reclusione, riscontrando nelle condotte addebitate gli estremi del reato di maltrattamenti in considerazione del clima di vessazioni, caratterizzato da frasi offensive pronunciate dalla stessa donna al cospetto del figlio e da una convivenza intollerabile, sopportata soltanto per il timore di perdere l’affetto del proprio figlio.
Tuttavia, la Corte d’Appello aveva evidenziato che le ingiurie e le minacce non gravi non avrebbero avuto rilievo penale.
A sua volta la Corte di Cassazione, sentenza n. 14522/2022, ribalta la pronuncia territoriale giudicando errato il riferimento alla necessità che le condotte vessatorie siano connotate da violenza o da intenti di sopraffazione, "essendo al contrario sufficiente la reiterazione di condotte consapevolmente offensive sorrette da un dolo generico, che risultino tali da generare sofferenza nella vittima, specie quando tali offese siano in grado di incidere sul rapporto padre e figlio".
In particolare sono emerse le seguenti condotte poste in essere dall'imputata:
La vicenda
La Corte d’Appello, capovolgendo la sentenza del tribunale, aveva assolto una donna per insussistenza del fatto con riferimento all’imputazione per il delitto di maltrattamenti, perpetrato ai danni del proprio marito, con l’aggravante di aver commesso il fatto in presenza del figlio minorenne. Il tribunale aveva, invece, condannato la donna a due anni e sei mesi di reclusione, riscontrando nelle condotte addebitate gli estremi del reato di maltrattamenti in considerazione del clima di vessazioni, caratterizzato da frasi offensive pronunciate dalla stessa donna al cospetto del figlio e da una convivenza intollerabile, sopportata soltanto per il timore di perdere l’affetto del proprio figlio.
Tuttavia, la Corte d’Appello aveva evidenziato che le ingiurie e le minacce non gravi non avrebbero avuto rilievo penale.
A sua volta la Corte di Cassazione, sentenza n. 14522/2022, ribalta la pronuncia territoriale giudicando errato il riferimento alla necessità che le condotte vessatorie siano connotate da violenza o da intenti di sopraffazione, "essendo al contrario sufficiente la reiterazione di condotte consapevolmente offensive sorrette da un dolo generico, che risultino tali da generare sofferenza nella vittima, specie quando tali offese siano in grado di incidere sul rapporto padre e figlio".
In particolare sono emerse le seguenti condotte poste in essere dall'imputata:
- aggressioni verbali e insulti continui, atti a svalutare la vittima e minarne l’autostima;
- minacce e pressioni psicologiche per mantenere il controllo, generando un clima di paura;
- episodi di umiliazione, sia in pubblico che in privato;
- isolamento sociale, limitando i rapporti della vittima con amici e familiari.
Questi comportamenti sono stati considerati inaccettabili dalla Corte, che ha ribadito come il reato di maltrattamenti in famiglia miri a proteggere l’integrità psico-fisica delle persone coinvolte, senza discriminazione di genere, ribadendo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale "integra il delitto di maltrattamenti in famiglia anche la sostanziale privazione della funzione genitoriale del componente della famiglia, realizzata mediante l'avocazione delle scelte economiche, organizzative ed educative relative ai figli minori e lo svilimento, ai loro occhi, della sua figura morale": e ciò, soprattutto, se le condotte persecutorie di un genitore nei confronti dell'altro siano poste in essere alla presenza del figlio, costretto ad assistervi sistematicamente, trattandosi di condotta espressiva di una consapevole indifferenza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali del minore e idonea a provocare sentimenti di sofferenza e frustrazione in quest'ultimo.