Come spiega l'Inps nel suo sito web ufficiale, l'indennità di accompagnamento è una prestazione economica, erogata su domanda e versata ai soggetti mutilati o invalidi civili totali nei confronti dei quali è stata acclarata l’impossibilità di deambulare senza il sostegno di un accompagnatore, oppure l’incapacità di compiere gli atti quotidiani, ossia quelle azioni elementari che compie giornalmente un soggetto normale di corrispondente età. Di fatto la persona è non autosufficiente e la presenza di tali requisiti sanitari è verificata tramite una visita medico-legale da parte di una commissione Inps, che valuta la documentazione sanitaria presentata e le condizioni della persona.
Ma attenzione perché, se - in linea generale - l'esito positivo dell’accertamento è il presupposto giuridico per il riconoscimento della prestazione di accompagnamento, la Corte di Cassazione ha ammesso il versamento mensile di tale somma di denaro, da parte dell'Inps, anche nel caso in cui la persona interessata sia autosufficiente, ma a particolari e specifiche condizioni.
In particolare, in una sentenza del 2004, la n. 8060, i giudici di piazza Cavour hanno stabilito che l'istituto di previdenza può erogare l'indennità in oggetto anche a chi non rientra pedissequamente nel perimetro dei requisiti sanitari di concessione della misura, ma non è in grado di uscire e camminare da solo fuori dalla propria abitazione. A ben vedere, non è una effettiva deroga alla disciplina normativa, bensì una integrazione giurisprudenziale che estende il sussidio ad alcuni casi di parziale autosufficienza.
Perciò se è vero che tale indennità è versata - tipicamente - qualora ricorrano gravi problemi di salute (come ad es. patologie oncologiche, morbo di Parkinson, sclerosi multipla o disturbi cardiovascolari gravi), è altrettanto vero - afferma la Cassazione - che, anche in assenza di patologie o malattie come queste, esistono casi pratici in cui una persona può muoversi e compiere in autonomia gli atti quotidiani all’interno della propria casa, ma non anche fuori e all'esterno di essa.
In circostanze come queste - tipiche di molti anziani che vivono in palazzi antichi e senza ascensore - l'individuo è gravemente limitato, perché non può uscire da solo per provvedere alle proprie necessità (acquisto cibo o farmaci, svolgimento di un'attività ricreativa, ecc.): una condizione di autosufficienza parziale che, quindi, va tutelata sulla scorta dell'interpretazione - fatta dalla Cassazione - dell'impossibilità di autonoma deambulazione ai sensi dell’art. 1 della legge 18 del 1980, come incapacità di uscire dalla propria abitazione senza il supporto di un accompagnatore.
Ricapitolando, l’indennità di accompagnamento a chi è autosufficiente è possibile, ma esclusivamente se, da una commissione medica appositamente incaricata, è riconosciuta l’impossibilità di camminare o svolgere attività fuori dalle mura domestiche, senza assistenza di una persona e a prescindere se gli atti quotidiani della vita avvengano autonomamente nella propria casa. In altre parole, l'interessato dovrà provare una oggettiva necessità di essere aiutato fuori dalle mura domestiche, al fine, ad esempio, di provvedere al rifornimento dei beni necessari per vivere, quali cibo e bevande.
Ma attenzione perché, se - in linea generale - l'esito positivo dell’accertamento è il presupposto giuridico per il riconoscimento della prestazione di accompagnamento, la Corte di Cassazione ha ammesso il versamento mensile di tale somma di denaro, da parte dell'Inps, anche nel caso in cui la persona interessata sia autosufficiente, ma a particolari e specifiche condizioni.
In particolare, in una sentenza del 2004, la n. 8060, i giudici di piazza Cavour hanno stabilito che l'istituto di previdenza può erogare l'indennità in oggetto anche a chi non rientra pedissequamente nel perimetro dei requisiti sanitari di concessione della misura, ma non è in grado di uscire e camminare da solo fuori dalla propria abitazione. A ben vedere, non è una effettiva deroga alla disciplina normativa, bensì una integrazione giurisprudenziale che estende il sussidio ad alcuni casi di parziale autosufficienza.
Perciò se è vero che tale indennità è versata - tipicamente - qualora ricorrano gravi problemi di salute (come ad es. patologie oncologiche, morbo di Parkinson, sclerosi multipla o disturbi cardiovascolari gravi), è altrettanto vero - afferma la Cassazione - che, anche in assenza di patologie o malattie come queste, esistono casi pratici in cui una persona può muoversi e compiere in autonomia gli atti quotidiani all’interno della propria casa, ma non anche fuori e all'esterno di essa.
In circostanze come queste - tipiche di molti anziani che vivono in palazzi antichi e senza ascensore - l'individuo è gravemente limitato, perché non può uscire da solo per provvedere alle proprie necessità (acquisto cibo o farmaci, svolgimento di un'attività ricreativa, ecc.): una condizione di autosufficienza parziale che, quindi, va tutelata sulla scorta dell'interpretazione - fatta dalla Cassazione - dell'impossibilità di autonoma deambulazione ai sensi dell’art. 1 della legge 18 del 1980, come incapacità di uscire dalla propria abitazione senza il supporto di un accompagnatore.
Ricapitolando, l’indennità di accompagnamento a chi è autosufficiente è possibile, ma esclusivamente se, da una commissione medica appositamente incaricata, è riconosciuta l’impossibilità di camminare o svolgere attività fuori dalle mura domestiche, senza assistenza di una persona e a prescindere se gli atti quotidiani della vita avvengano autonomamente nella propria casa. In altre parole, l'interessato dovrà provare una oggettiva necessità di essere aiutato fuori dalle mura domestiche, al fine, ad esempio, di provvedere al rifornimento dei beni necessari per vivere, quali cibo e bevande.