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Per il giudice che non accetta la richiesta di consulenza tecnica d'ufficio scatta l'obbligo di motivazione

Per il giudice che non accetta la richiesta di consulenza tecnica d'ufficio scatta l'obbligo di motivazione
Il giudice, se decide di non ammettere in giudizio una consulenza tecnica d’ufficio richiesta dalla parte, è tenuto a spiegare le ragioni della propria scelta.


Sempre più numerosi sono, oggi, i giudizi in cui, per trovare la soluzione più idonea al caso concreto, il giudice è posto di fronte alla necessità di chiarire svariate questioni tecniche che non rientrano nella sua specifica competenza.

In questi casi, l'art. 61 c.p.c. gli consente di farsi assistere da uno o più consulenti in possesso di apposite conoscenze tecniche, al fine di maturare consapevolmente la propria decisione.

La consulenza tecnica può essere disposta d'ufficio dal giudice o richiesta dalle parti per meglio chiarire e approfondire fatti già provati in giudizio o che, comunque, non possono essere adeguatamente accertati in assenza dell'ausilio di un esperto del settore.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 25851/2018 chiariva alcuni aspetti rilevanti in materia. Nel caso esaminato, la Corte d'Appello aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore, evidenziando come la sanzione che comporta lo scioglimento del rapporto di lavoro dovesse considerarsi, in relazione alla situazione concreta, perfettamente legittima.

Mancava però agli atti, secondo il lavoratore licenziato, la prova che le patologie lamentate dal lavoratore fossero collegate causalmente alle nuove mansioni svolte. Il ricorrente proponeva dunque ricorso per Cassazione lamentando, fra l'altro, la mancata valutazione delle certificazioni mediche relative al suo stato di salute, oltre al non accoglimento della richiesta di consulenza tecnica d'ufficio medico-legale e all'ammissione delle prove testimoniali.

Sul punto, la Corte di Cassazione osservava che il giudice è libero, nel trovare la soluzione del caso, di scegliere le risultanze probatorie ritenute più idonee a fondare il proprio convincimento.

Le valutazioni relative all'attendibilità, o meno, di un determinato testimone e l'esame dei documenti allegati e prodotti in giudizio, costituiscono apprezzamenti discrezionali riservati al giudice di merito e sottratti al controllo di legittimità, se congruamente motivati (Corte di Cassazione, sent. n. 19011/2017).

Il limite che viene per legge posto al potere discrezionale del giudice, consiste, quindi, nell'evitare affermazioni prive di indicazione delle ragioni del proprio convincimento.

Ciò non significa, tuttavia, che possa essere imposta al giudice una puntuale critica di ogni singolo elemento agli atti del giudizio, eventualmente discordante rispetto alla propria ricostruzione.

Si dovranno, invece, ritenere non accolti, implicitamente, tutti i rilievi e le circostanze che, pur non menzionati nella parte motiva della sentenza, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata (Corte di Cassazione sent, 16055/2016).

Certamente sarà impugnabile un provvedimento che riporti una motivazione mancante, priva, quindi, dell’indicazione dei motivi della decisione, che contenga affermazioni inconciliabili, che sia perplessa o, ancora, obiettivamente incomprensibile.

Ciò detto, la scelta dell'ammissibilità di una consulenza tecnica è rimessa alla discrezionalità del giudice che potrebbe ritenere di disporre già dei criteri di risoluzione della controversia e di tutti gli elementi rilevanti ai fini della decisione della questione da affrontare.

Peraltro, lo stesso art. 61 c.p.c. prevede che il giudicante “può” farsi assistere da consulenti tecnici in possesso di adeguate conoscenze ed esperienze nel settore di riferimento, non che a ciò sia obbligato.

Tale norma, del resto, si apre con le parole “quando è necessario” che escludono l'obbligo da parte del giudice, anche in presenza di cause in cui si trattino questioni tecniche, di ricorrere sempre ad una tale consulenza.

Se il giudice non la ritiene necessaria, come “guida” al fine di trovare la miglior soluzione possibile della controversia, sarà tenuto, tuttavia, a dare conto delle ragioni che lo hanno indotto a respingere l'istanza di parte.

Non potrà, invece, limitarsi a rigettare la richiesta di C.T.U. senza spiegazione.
La scelta del giudice di rigettare immotivatamente l'istanza finirebbe per dare luogo ad un'omissione di pronuncia, posto che l’art. 112 c.p.c. impone a quest'ultimo, di decidere su tutta la domanda, e non oltre i limiti della stessa.

Concludeva dunque la Corte di Cassazione osservando che la decisione di ricorrere o meno a una C.T.U. rientra nel potere discrezionale del giudice che, in caso di rigetto, deve, tuttavia, motivare la propria decisione, chiarendo di essere già in possesso dei criteri tecnici per risolvere la questione.


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