Tale condotta rappresenta un’ipotesi di truffa o integra qualche altro reato?
Per risolvere tale quesito occorre chiarire se il fatto di non comunicare all’INPS che il titolare della pensione è morto rappresenti un “artificio” o un “raggiro” tale da poter portare all’applicazione dell’art. 640 cod. pen.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 48820 del 23 ottobre 2013, si è occupata proprio di questa questione, precisando che la condotta di colui che omette di comunicare all’INPS il decesso di un soggetto, continuando a percepire la relativa pensione, rappresenta un’ipotesi di “indebita percezione ai danni dello Stato” (art. 316 ter cod. pen.) e non di “truffa” (art. 640 cod. pen).
Nel caso esaminato dalla Cassazione, una donna era stata condannata, sia in primo che in secondo grado, per il reato di truffa, in quanto la stessa non aveva comunicato all’INPS il decesso della madre, continuando a percepire la pensione spettante alla stessa quando era in vita.
La donna, ritenendo la decisione ingiusta, decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo la ricorrente, infatti, non erano stati commessi gli “artifici e raggiri” che sono necessari per potersi parlare di “truffa” e non sussisteva nessun obbligo di comunicare all’INPS l’intervenuto decesso della madre.
La Corte di Cassazione riteneva in effetti, di dover dar ragione alla ricorrente, osservando che la condotta in questione non può essere considerata un’ipotesi di “truffa”, bensì un’ipotesi di “indebita percezione di erogazioni a danno dello stato”, di cui all’art. 316 ter cod. pen.
Secondo la Cassazione, infatti, tale condotta non può essere considerata una “truffa”, in quanto manca il “comportamento fraudolento” e la “induzione in errore” del soggetto danneggiato (in questo caso, l’INPS).
Osservava la Cassazione, in proposito, che, nel caso di specie, la Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto che il silenzio della ricorrente circa la morte della madre costituisse, “di per sè, un artificio o raggiro”.
Pertanto, non essendo stata posta in essere una condotta fraudolenta, non poteva trovare applicazione l’art. 640 c.p.
Ciò considerato, la Cassazione, dopo aver riqualificato il fatto, riconducendolo all’art. 316 c.p., annullava la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’appello competente, in modo che questa potesse nuovamente pronunciarsi sul punto, tenendo conto dei principi affermati dalla Cassazione stessa.