I farmaci equivalenti, altresì noti come “farmaci generici”, sono dei farmaci sostitutivi rispetto a quelli “originali”, che tuttavia contengono l’identico principio attivo di quest’ultimi e rispetto al quale è però scaduto il brevetto.
Invero, affinchè possa essere commercializzato un farmaco equivalente è tuttavia requisito essenziale che il relativo brevetto sia scaduto o non sia stato rinnovato: in pratica, qualsiasi società farmaceutica potrà utilizzare tali principi attivi.
Ciò ha un notevole impatto sui consumatori, dato che in tempi di crisi il ricorso a farmaci generici può incidere non poco nell’economia familiare (vengono a costare anche il 20% in meno dei farmaci “originali”).
Ogni farmaco è sostanzialmente composto da un principio attivo e da degli accipienti: con il primo si intende la sostanza che produce l’effetto terapeutico (è l’elemento essenziale del farmaco); con i secondi ci si riferisce a quegli elementi che aiutano il principio attivo a svolgere la sua funzione.
La distinzione tra tali composti del farmaco è di notevole rilevanza: la normativa (Legge n. 549/1995 - D. Lgs. 219/2006) prevede che un farmaco possa di dirsi equivalente ad un altro qualora contenga lo stesso principio attivo di quest’ultimo, sia da un punto di vista di sostanza che dal punto di vista della quantità.
Come un buon biologo potrebbe però argomentare, è anche necessario che tra il medicinale equivalente ed il medicinale “originale” vi sia bioequivalenza: due farmaci si dicono bioequivalenti se hanno la stessa biodisponibilità (i.e.: con quanta velocità e quale quantità un principio attivo o la sua porzione terapeutica vengono assorbiti da una forma farmaceutica e diventano disponibili al sito d'azione). E infatti la legge richiede anche questo requisito al farmaco cosiddetto generico.
Detto in altri termini, occorre che si produca una identica concentrazione nel sangue e, conseguentemente, vi sia una identità dei loro effetti.
Se sussiste questa bioequivalenza, la legge consente che gli eccipienti usati nel farmaco generico siano diversi da quelli usati nel medicinale di riferimento.
Invero, affinchè possa essere commercializzato un farmaco equivalente è tuttavia requisito essenziale che il relativo brevetto sia scaduto o non sia stato rinnovato: in pratica, qualsiasi società farmaceutica potrà utilizzare tali principi attivi.
Ciò ha un notevole impatto sui consumatori, dato che in tempi di crisi il ricorso a farmaci generici può incidere non poco nell’economia familiare (vengono a costare anche il 20% in meno dei farmaci “originali”).
Ogni farmaco è sostanzialmente composto da un principio attivo e da degli accipienti: con il primo si intende la sostanza che produce l’effetto terapeutico (è l’elemento essenziale del farmaco); con i secondi ci si riferisce a quegli elementi che aiutano il principio attivo a svolgere la sua funzione.
La distinzione tra tali composti del farmaco è di notevole rilevanza: la normativa (Legge n. 549/1995 - D. Lgs. 219/2006) prevede che un farmaco possa di dirsi equivalente ad un altro qualora contenga lo stesso principio attivo di quest’ultimo, sia da un punto di vista di sostanza che dal punto di vista della quantità.
Come un buon biologo potrebbe però argomentare, è anche necessario che tra il medicinale equivalente ed il medicinale “originale” vi sia bioequivalenza: due farmaci si dicono bioequivalenti se hanno la stessa biodisponibilità (i.e.: con quanta velocità e quale quantità un principio attivo o la sua porzione terapeutica vengono assorbiti da una forma farmaceutica e diventano disponibili al sito d'azione). E infatti la legge richiede anche questo requisito al farmaco cosiddetto generico.
Detto in altri termini, occorre che si produca una identica concentrazione nel sangue e, conseguentemente, vi sia una identità dei loro effetti.
Se sussiste questa bioequivalenza, la legge consente che gli eccipienti usati nel farmaco generico siano diversi da quelli usati nel medicinale di riferimento.