Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento al risarcimento del danno in favore di un medico dipendente, in conseguenza del “mancato godimento dei riposi compensativi” previsti dalla contrattazione collettiva per dirigenza medica.
Ritenendo la sentenza ingiusta, l’Azienda proponeva ricorso in Cassazione, censurando la decisione della Corte di secondo grado, la quale aveva riconosciuto al medico una “maggiorazione retributiva per il lavoro prestato nelle giornate festive, nonostante il ricorrente avesse domandato il risarcimento dei danno da usura psicofisica e di quello morale ed esistenziale”.
L’Azienda, inoltre, denunciava la violazione, da parte del giudice d’appello, degli artt. 1218, 1223 e 2697 c.c., in quanto il medesimo non avrebbe aderito al principio secondo cui “non è sufficiente che il lavoratore dimostri di avere prestato la propria attività per oltre sette giorni al fine di ottenere il riconoscimento dei diritto al risarcimento, ma è pur sempre necessaria la prova ulteriore del danno subito”.
Il lavoratore proponeva ricorso incidentale, evidenziando come la sentenza di secondo grado apparisse carente sotto il profilo motivazionale, dal momento che la medesima non aveva esaminato “il motivo concernente il rigetto, da parte del primo giudice, della richiesta di condanna al risarcimento del danno connesso alla limitazione e allo stravolgimento della vita familiare e di relazione”.
Allo stesso modo, secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe “omesso l’esame della domanda con riferimento alla richiesta di risarcimento del danno da usura psicofisica per la maggiore gravosità del lavoro, conseguente alla mancata fruizione dei riposi settimanali”,
La Corte di Cassazione riteneva fondato il primo motivo di ricorso proposto dall’Azienda ricorrente, evidenziando che il lavoratore aveva domandato in giudizio “il risarcimento del danno da usura psicofisica e del danno morale ed esistenziale e ciò in relazione al fatto di avere prestato, fin dall’inizio del rapporto di lavoro, turni di servizio in giorni festivi (…), senza godere dei necessari riposi compensativi, ed inoltre al fatto di avere svolto, nell’arco di ogni anno, una media 240 turni di pronta disponibilità in giorni feriali, ben maggiore di quella contrattualmente dovuta”.
A fronte di tali domande, tuttavia, la Corte d’appello aveva condannato l’Azienda anche al pagamento di un compenso aggiuntivo, “pari al 100% della retribuzione giornaliera ordinaria aumentata del compenso per il lavoro festivo”.
Ebbene, secondo la Cassazione, poiché il medico ricorrente non aveva fatto valere un credito retributivo, bensì esclusivamente un credito risarcitorio, la Corte d’appello avrebbe dovuto limitarsi a statuire in ordine alle domande formulate, senza concedere rimedi di altro genere.
Quanto alle argomentazioni svolte dal lavoratore in via incidentale, la Cassazione evidenziava come le medesime apparissero fondate, dal momento che la sentenza di secondo grado non conteneva “alcuna statuizione e neppure alcun cenno alla domanda relativa al danno morale esistenziale, inteso – secondo la prospettazione dei ricorrente – quale compromissione delle attività non reddituali, attraverso le quali si realizza la persona umana, e cioè derivante dalla impossibilità di coltivare interessi culturali, attività ludiche e relazioni sociali”.
Secondo la Cassazione, inoltre, non risultava che il giudice di secondo grado avesse esaminato il contenuto della relazione svolta dal consulente tecnico incaricato in via istruttoria.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il primo motivo di ricorso proposto dall’Azienda e accoglieva, altresì l’appello incidentale proposto dal lavoratore, annullando la sentenza di secondo grado e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima procedesse all’esame di entrambe le domande risarcitorie svolte dal lavoratore (sia quella relativa al risarcimento del danno da usura psicofisica, sia quella relativa al risarcimento del danno morale ed esistenziale).
La Cassazione, inoltre, dettava il principio di diritto a cui avrebbe dovuto attenersi la Corte d’appello in sede di rinvio, in base al quale “in caso di lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, ove il lavoratore richieda, in relazione alla modalità della prestazione, il risarcimento dei danno non patrimoniale, per usura psicofisica, ovvero per la lesione dei diritto alla salute o dei diritto alla libera esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana, è tenuto ad allegare e provare il pregiudizio dei suo diritto fondamentale, nei suoi caratteri naturalistici e nella sua dipendenza causale dalla violazione dei diritti patrimoniali di cui all’art. 36 della Costituzione, potendo assumere adeguata rilevanza, nell’ambito specifico di detta prova (…), il consenso del lavoratore a rendere la prestazione nel giorno di riposo ed, anzi, la sua richiesta di prestare attività lavorativa proprio in tale giorno, mentre non rileva la fruizione successiva di riposi maggiori, essendo il termine di riferimento quello dei giorno e della settimana” (Cass. 23 maggio 2014 n. 11581).