Nel caso di specie, il gestore di un Bed and Breakfast sito in Sicilia ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale, chiedendo l’annullamento dell’avviso di accertamento del Comune relativo al pagamento della TARSU. Secondo l’uomo, infatti, quella da lui gestita non era assimilabile ad un’attività alberghiera e, dunque, non era assoggettata al pagamento della TARSU.
Di fronte all’accoglimento del ricorso da parte della Commissione Tributaria Provinciale, il Comune convenuto si rivolgeva alla Commissione Tributaria Regionale, la quale, a sua volta, rigettava il gravame, ritenendo, anch’essa, che all’attività di B&B non fosse applicabile la tariffa prevista per gli alberghi, trattandosi di attività tra loro differenti. Secondo l’organo giudicante, infatti, gli alberghi avrebbero una capacità di produrre rifiuti superiore a quella dei Bed and Breakfast.
Il Comune, rimasto soccombente anche in secondo grado, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, sottolineando, innanzitutto, come l’art. 62, comma 4, del d.lgs. n. 507/1993, prevedesse che “nelle unità immobiliari adibite a civile abitazione, in cui sia svolta un’attività economica o professionale, può essere stabilito dal regolamento che la tassa è dovuta in base alla tariffa prevista per la specifica attività ed è commisurata alla superficie a tal fine utilizzata”. Si evidenziava, inoltre, come la legge della Regione Sicilia n. 2/2002, disponesse, all'art. 88, comma 4, che "l'esercizio dell'attività di B&B non costituisce cambio di destinazione d'uso dell'immobile e comporta, per i proprietari delle unità abitative, l'obbligo di adibire ad abitazione personale l'immobile medesimo", e, all'art. 41, comma 1, che "il B&B è inserito tra le attività di cui all'art. 3 della legge regionale n. 27 del 1996", equiparandolo, in tal modo, agli alberghi.
Il ricorrente eccepiva, poi, come, in entrambi i gradi del giudizio di merito, non fosse stato considerato il fatto che la TARSU prescinda dalla destinazione urbanistica dell'immobile e dalla sua classificazione catastale, dovendosi, invece, considerare l'attitudine alla produzione di rifiuti dell'attività ricettivo-alberghiera alla quale sia destinata parte dell'immobile stesso. Si rilevava, infatti, che, nel caso di specie, 127 mq della superficie dell’immobile, su un totale di 159 mq, erano stati destinati dal contribuente all’attività di Bed and Breakfast, a fronte dei restanti 32 mq destinati ad abitazione privata.
Il Comune, poi, nel giustificare l'assimilazione della tariffa TARSU prevista per le porzioni di immobile destinata a B&B a quella applicata agli alberghi, evidenziava come, ai sensi dell’art. 49 del d.lgs. n. 22/1997 i Comuni potessero istituire tariffe differenziate per le varie fasce di utenza, distinguendo l’uso domestico di un edificio da quello non domestico. Peraltro, lo stesso ricorrente evidenziava come l'art. 68 del d.lgs. 507/1993, stabilisse che, ai fini dell'applicazione della TARSU, i Comuni fossero tenuti ad adottare un apposito regolamento contenente "la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria", precisando, altresì, come, ai fini dell'articolazione di categorie e sottocategorie, si dovesse tenere conto, in via di massima, delle varie tipologie di destinazione degli immobili, tra cui non vi sarebbe stata distinzione tra le tipologie di attività ricettive, tutte accomunate dalla dizione di "esercizi alberghieri".
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendo fondate le doglianze esposte.
Gli Ermellini hanno, innanzitutto, evidenziato come l'applicazione di una determinata tariffa, ai fini TARSU, sia indipendente dalla destinazione d'uso dell'immobile, poiché lo stesso legislatore, con l'art. 62, comma 4, del d.lgs. n. 507/1993, ha attribuito agli enti locali il potere di applicare la tariffa in base all'attività economica concretamente svolta all'interno dell'immobile, potere del quale, dunque, si è giustamente avvalso il Comune ricorrente.
Gli stessi giudici di legittimità hanno, però, riconosciuto la necessità di qualificare l’attività di Bed and Breakfast, la quale non è in alcun modo qualificata all'interno delle fonti normative statali, risultando, così, di fatto, lasciata alla regolamentazione delle singole Regioni.
A tal fine la Corte ha ritenuto opportuno far riferimento alla legge della Regione Sicilia n. 2/2002, citata dal ricorrente, la quale inserisce l’attività di B&B tra le strutture ricettive a carattere alberghiero, pur senza imporre ai Comuni di applicare tale equiparazione anche ai fini della TARSU.
Tuttavia, secondo gli Ermellini, non si può ritenere illegittimo un regolamento comunale che, in relazione alla determinazione della tariffa da applicare ai fini TARSU, equipari la porzione di immobile destinata all'esercizio dell'attività di B&B ad un albergo: si tratta, infatti, di una scelta discrezionale del Comune, effettuata nei limiti del potere impositivo che gli è attribuito dall'ordinamento, non vietata da alcuna norma statale e, anzi, in linea con la disciplina regionale in materia di servizi turistici la quale, nel caso della Regione Sicilia, inserisce espressamente i B&B tra le strutture ricettive a carattere alberghiero.