Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista un uomo che era stato accusato del reato di “atti sessuale con minorenne” (art. 609 quater c.p.), in quanto lo stesso avrebbe fatto entrare nella propria auto una minore di quattordici anni, “baciandola in bocca”, sfilandole i pantalonti e gli slip e consumando con la stessa un rapporto sessuale completo.
L’imputato era stato, inoltre, accusato del reato di “adescamento di minorenni” (art. art. 609 undecies del c.p. c.p.), in quanto il medesimo, allo scopo di commettere l’atto sessuale, avrebbe utilizzato un falso profilo facebook, “dichiarando di avere 17 anni” e adescando, così, la minore in questione.
Il soggetto in questione era stato condannato sia in primo che in secondo grado, e aveva deciso quindi di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle considerazioni svolte dall’imputato, e rigettava il relativo ricorso, in quanto infondato.
Evidenziava la Cassazione, infatti, che lo stesso imputato aveva ammesso le condotte contestate, pur giustificandole sulla base di un “reale sentimento provato nei confronti della minore”.
Appariva, comunque, secondo la Corte, un dato di fatto assodato, che “l’imputato aveva un falso profilo su facebook e con questo aveva adescato la ragazzina con cui aveva consumato il rapporto di cui al capo d’imputazione”.
Precisava la Cassazione, peraltro, che il certificato della psicologa, prodotto in corso di causa, aveva dato conto della fragilità della ragazza, che risultava essere stata “soggiogata da un uomo più grande, desiderosa di apparire agli occhi di questi più matura ed attraente della sua età anagrafica”.
Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza impugnata.